venerdì 12 novembre 2010

Insidia stradale, sinistro, presunzione di responsabilità dell'Ente proprietario

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE
Sentenza 2 luglio - 15 ottobre 2010, n. 21328

"la presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c. si applica per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, tra i quali le strade, tutte le volte in cui sia possibile, da parte dell’ente proprietario o che abbia la disponibilità e il godimento della res, la custodia intesa come potere di fatto o signoria sul bene medesimo. La nozione della custodia rappresenta dunque un elemento strutturale dell’illecito, che qualifica il potere dell’ente sul bene che esso amministra nell’interesse pubblico. I criteri di valutazione della cd. esigibilità della custodia, ineriscono alla natura ed alle caratteristiche del bene da custodire, e dunque, nel caso di specie, riguardano la estensione della strada, la dimensione, le dotazioni ed i sistemi di assistenza, di sicurezza, di segnalazioni di pericolo, generico e specifico, che sono funzionali alla sicurezza della circolazione ed in particolare dell’utente, persona fisica, che quotidianamente percorre quel tratto statale che, interessando il centro storico cittadino, particolarmente frequentato da pedoni e da veicoli, rientra nelle possibilità di controllo e di adeguato esercizio dei poteri di custodia e relativi provvedimenti cautelari, vuoi con la presenza di vigili, vuoi con la apposizione di segnali che evidenziano il pericolo generico di strada antica e sdrucciolevole per la presenza di fossati e dislivelli. La responsabilità resta esclusa in presenza di caso fortuito, la cui prova grava sull’ente, per effetto della presunzione iuris tantum, ovvero se l’utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, potendosi eventualmente ritenere, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione della incidenza causale, la responsabilità della pubblica amministrazione, sempre che tale concorso sia stato dedotto e provato".



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 2 luglio - 15 ottobre 2010, n. 21328

(Presidente Di Nanni - Relatore Petti)

Svolgimento del processo

1. Il **** alle ore 11, in via ****, il vespista S.A. a bordo di una vespa, scivolava sull’acciottolato della strada del centro storico, riportando lesioni e danni al mezzo. Con citazione del 22 novembre 1997 lo S. conveniva dinanzi al Tribunale di Palermo il Comune di **** e ne chiedeva la condanna al risarcimento danni per responsabilità aquiliana ai sensi degli artt. 2043 e 2051 cod. civ.. Il Comune si costituiva contestando il fondamento delle pretese e chiamava in lite la assicuratrice La Nazionale, che si costituiva sostenendo le difese del Comune comunque deducendo di rispondere nei limiti del massimale di polizza.

2. Il Tribunale di Palermo sezione distaccata di Monreale, con sentenza del 19 settembre 2001 rigettava la domanda e compensava tra le parti le spese di lite; in particolare il tribunale escludeva la esistenza di una situazione di pericolo tale da determinare la caduta del conducente della vespa.

3. Contro la decisione proponeva appello S. chiedendone la riforma, sul rilievo che era stata dedotta anche la responsabilità da custodia; resistevano le controparti chiedendo il rigetto del gravame e la conferma della decisione.

4. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 26 settembre 2005 rigettava il gravame e condannava S. alla rifusione delle spese del grado in favore delle parti appellate.

5. Contro la decisione ricorre S. deducendo quattro motivi di ricorso, resiste la parte assicuratrice con controricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso merita accoglimento in ordine ai dedotti motivi, che per chiarezza espositiva vengono in sintesi descrittiva.

Nel primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dei precetti di cui agli artt. 2034 e 2051 c.c., come error in iudicando ai sensi dell’art. 360, n. 3 del codice di rito. La censura, ampiamente illustrata da ff. 3 a 15 del ricorso, dapprima compie un ampio excursus sulla evoluzione ed il consolidamento di un orientamento giurisprudenziale che considera applicabile al proprietario del bene pubblico, nel caso di specie il Comune di omissis quale custode di un breve tratto stradale all’interno del piccolo centro storico, e quindi descrive, per la migliore comprensione dello stato dei luoghi, rispettando i principi di autosufficienza, le condizioni della strada, mantenuta nello stato originario e storico, con lastroni cementali, una elevata pendenza e una striscia in basolato con concavità per convogliare le acque reflue.

La censura, in relazione alle condizioni concrete della sede viaria, sostiene che il Comune, responsabile della custodia e manutenzione, avrebbe dovuto segnalare la situazione di pericolo, anche con opportuna segnaletica, specie per i mezzi a due ruote, e con eventuale predisposizione di misure di sicurezza e segnalazioni, come prescritto da varie norme del codice della strada, puntualmente indicate - a f. 11 del ricorso.

Assume infine il ricorrente che il Comune, per liberarsi della presunzione di responsabilità in ordine alla causalità del danno, doveva fornire la prova del caso fortuito. Anche a voler considerare la responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., la situazione viaria descritta presentava il carattere di insidia diffusa, rendendo imprevedibile al conducente di veicoli a due ruote le variabili della sede stradale e dei suoi avvallamenti - ff. 14 in fine.

Nel secondo motivo si deduce il contestuale vizio della motivazione sui punti decisivi descrittivi della fattispecie da sussumere sotto le norme di protezione, come si ribadisce da ff. 15 a 24 del ricorso, dove si pone nuovamente in evidenza il precetto del vigente regolamento del codice stradale, che obbliga la installazione di segnali di pericolo generico quando sussista una reale situazione di pericolo della strada.

Nel terzo e nel quarto motivo, consequenziali all’accoglimento dei primi due, si deduce l’error in iudicando per la mancata considerazione e liquidazione delle pretese risarcitorie, e delle spese processuali sostenute dalla parte lesa.

In relazione alle censure esposte il ricorso merita accoglimento, sotto il profilo che alla fattispecie in esame, descritta obbiettivamente come contesto storico in relazione alla dinamica dell’incidente, si attaglia la disciplina dell’art. 2051 c.c., secondo la linea interpretativa evolutiva da ultimo espressa da questa Corte con la sentenza 22 aprile 2010 n. 9456. Secondo i principi di diritto enucleati nella sentenza citata, la presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c. si applica per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, tra i quali le strade, tutte le volte in cui sia possibile, da parte dell’ente proprietario o che abbia la disponibilità e il godimento della res, la custodia intesa come potere di fatto o signoria sul bene medesimo. La nozione della custodia rappresenta dunque un elemento strutturale dell’illecito, che qualifica il potere dell’ente sul bene che esso amministra nell’interesse pubblico. I criteri di valutazione della cd. esigibilità della custodia, ineriscono alla natura ed alle caratteristiche del bene da custodire, e dunque, nel caso di specie, riguardano la estensione della strada, la dimensione, le dotazioni ed i sistemi di assistenza, di sicurezza, di segnalazioni di pericolo, generico e specifico, che sono funzionali alla sicurezza della circolazione ed in particolare dell’utente, persona fisica, che quotidianamente percorre quel tratto statale che, interessando il centro storico cittadino, particolarmente frequentato da pedoni e da veicoli, rientra nelle possibilità di controllo e di adeguato esercizio dei poteri di custodia e relativi provvedimenti cautelari, vuoi con la presenza di vigili, vuoi con la apposizione di segnali che evidenziano il pericolo generico di strada antica e sdrucciolevole per la presenza di fossati e dislivelli. La responsabilità resta esclusa in presenza di caso fortuito, la cui prova grava sull’ente, per effetto della presunzione iuris tantum, ovvero se l’utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, potendosi eventualmente ritenere, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1 un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione della incidenza causale, la responsabilità della pubblica amministrazione, sempre che tale concorso sia stato dedotto e provato.

La motivazione della Corte di appello, nella concisa ed incompleta motivazione - da ff. 3 a 6 - si discosta dai principi soprarichiamati, seguendo un indirizzo superato, espresso da ultimo in Cass. 25 luglio 2008 n. 20427, che privilegia la pubblica amministrazione con una nozione di custodia delimitata dal principio di esigibilità, senza ancorarla a criteri obbiettivi di valutazione, tali da considerare ed equilibrare una lettura costituzionalmente orientata del precetto di garanzia contenuto nell’art. 2051, che pure appartiene alla figura generale di un illecito qualificato dalla condotta del soggetto agente che dispone di poteri speciali e pubblici di custodia del bene.

Sussiste pertanto vuoi la violazione della norma su cui sussumere la fattispecie concreta, vuoi la difettosa valutazione e descrizione, che costituisce il vizio della motivazione, delle distinte azioni e condizioni del vespista, che circola su strada antica in centro storico senza adeguate informazioni sulle condizioni di sicurezza, e della posizione di custodia e vigilanza delle autorità comunali in relazione ai poteri di segnalazione e controllo del traffico pedonale e veicolare.

Applicando correttamente i principi richiamati, la valutazione delle condotte pone da un lato, la evidenza di una responsabilità comunale, e da altro lato la prova del nesso causale tra la caduta e la pericolosità della strada.

Il Giudice del rinvio, Corte di appello di Palermo, vincolato al rispetto dei principi soprarichiamati, riesaminerà il merito in ordine alla quantificazione delle pretese risarcitorie, provvedendo anche alla attribuzione e liquidazione delle spese di lite, secondo i principi di soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa e rinvia anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione.

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