martedì 21 settembre 2010

Notifica civile, coniuge separato, rilevanza della dimora

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE Sentenza 30 luglio 2010, n. 17903

"Ritiene questa Corte che, al fine della possibilità di notifica ai sensi dell'art. 139 c.p.c., ultimo comma, il concetto di "Comune di dimora" - al quale deve farsi riferimento con preferenza e precedenza rispetto al "Comune di domicilio" - vada enucleato in relazione alla "ratio" della norma, che è quella di consentire la notifica, nel caso in cui non sia noto e conoscibile con gli ordinari mezzi cognitivi il Comune di residenza, in luoghi in cui sia riscontrabile una relazione fra il soggetto notificando e il luogo stesso, tale da rendere molto probabile la tempestiva ricezione della notifica da parte del notificando ove effettuata in quel luogo. E appare razionale ritenere che il Comune dove la persona esercita un rapporto di lavoro subordinato o, come nel caso di specie, un rapporto d'impiego pubblico, è un luogo qualificabile come luogo di "dimora" ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 139 c.p.c., comma ultimo.

Conseguentemente, una volta ritenuto che il Comune in cui è situato il luogo di lavoro di un soggetto che ivi eserciti un rapporto di lavoro subordinato o, come nel caso di specie, un rapporto d'impiego pubblico, sia qualificabile nel senso su detto, il luogo di lavoro situato in tale Comune deve a sua volta ritenersi luogo idoneo - nel caso in cui, come nella specie non sia possibile effettuare la notificazione ai sensi dell'art. 139 c.p.c., comma 1, non essendo noto e reperibile il Comune di residenza - per la notifica ai sensi dell'art. 139 c.p.c., ultimo comma.
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 30 luglio 2010, n. 17903

Svolgimento del processo

1. L.R. con ricorso al tribunale di Firenze in data 28 febbraio 2003 chiedeva la modifica delle condizioni della separazione personale omologata il 17 marzo 1993, al fine dell'attribuzione di un assegno di mantenimento, essendo diminuito il proprio reddito e aumentato quello del marito. Il ricorso veniva notificato presso il luogo di lavoro del marito G.F., che risultava ancora residente presso l'abitazione coniugale, in ****, assegnata alla ricorrente. Non essendosi il G. costituito, la ricorrente chiedeva e otteneva autorizzazione a fare ricerche anagrafiche circa il luogo di residenza del G. - che risultava ancora in **** - e termine per procedere a nuova notifica del ricorso e del verbale della prima udienza. Provvedutosi a ciò, la procedura si concludeva in primo grado, nella contumacia del convenuto, con decreto che condannava il G. alla corresponsione di un assegno di mantenimento in favore della moglie di Euro 250,00 mensili. Il G. proponeva gravame dinanzi alla Corte d'appello di Firenze, deducendo la nullità della notifica dell'atto introduttivo del giudizio e chiedendo nel merito il rigetto della domanda perchè infondata. La L. chiedeva il rigetto del reclamo e la riforma del decreto con la quantificazione dell'assegno nella misura di Euro 400,00. La Corte d'appello annullava il decreto con sentenza depositata il 9 gennaio 2006, notificata il giorno 8 febbraio 2006, rilevando la nullità della notifica dell'atto introduttivo per la violazione dell'art. 139 c.p.c.. Avverso la sentenza la L. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 10 aprile 2006. Il G. resiste con controricorso notificato il 16 maggio 2006.

Motivi della decisione

1. Nel ricorso si premette che la Corte d'appello ha annullato il decreto del tribunale per violazione dell'art. 139 c.p.c., atteso che il notificante ha facoltà di scegliere se notificare presso l'abitazione o il luogo di lavoro del notificando solo quando siano nello stesso Comune, mentre quando sono in Comuni diversi, come nel caso di specie, il notificante è obbligato a fare la notifica prima presso il Comune di residenza, se esso è ignoto presso quello di dimora e solo se anche questo è ignoto, può farlo nel luogo di lavoro, con conseguente nullità, nella specie, della notifica effettuata in tale luogo. Tale statuizione sarebbe errata in diritto e viziata sul piano motivazionale per omesso esame dei certificati anagrafici in relazione alla fattispecie in questione, poichè la residenza del convenuto, secondo quanto risultava da essi, era rimasta anagraficamente presso la casa coniugale in Sesto Fiorentino, ma ben sapendo la ricorrente che dal momento della separazione - essendo stata ad essa assegnata la casa coniugale ed essendosene il marito allontanato - il convenuto non risiedeva più lì, la notifica in quel luogo sarebbe stata nulla e quindi non poteva essere ivi effettuata. Nè essa era in grado di conoscere la nuova residenza del marito, non avendo egli compiuto la relativa dichiarazione, come risultava dai certificati anagrafici in atti. Ne derivava che, essendo noto alla ricorrente il luogo di lavoro del convenuto, esattamente la notifica gli era stata fatta presso il suo domicilio in tale luogo.

2. Vanno pregiudizialmente rigettate le eccezioni d'inammissibilità del ricorso formulate dal controricorrente.

Contrariamente a quanto da lui eccepito, infatti, i provvedimenti adottati con il procedimento in camera di consiglio per la modifica delle condizioni di separazione personale sono reclamabili e ricorribili in cassazione, secondo consolidati principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte (ex multis Cass. 4 febbraio 2005, n. 2348; 30 dicembre 2004, n. 24265); la procura posta a margine del ricorso per Cassazione e riferita, come nella specie, alla "presente procedura" deve intendersi per ciò stesso riferita al ricorso (da ultimo, circa la specialità intrinseca della procura a margine del ricorso Cass. 17 dicembre 2009, n. 26504); l'art. 366 bis c.p.c., non è applicabile al ricorso "ratione temporis", riguardando esso un provvedimento depositato prima del 3 marzo 2006. 3. Il ricorso è fondato nei sensi appresso indicati.

La Corte d'appello ha fatto errata applicazione, nel caso di specie, dell'esatto principio secondo il quale l'art. 139 c.p.c., disponendo che quando non è noto il Comune di residenza la notificazione si fa nel Comune di dimora e, se anche questa è ignota, nel Comune di domicilio, consente la notificazione fuori del Comune di residenza del destinatario solo ove questa sia ignota, ponendo in tale ipotesi un ordine preferenziale obbligatorio.

In proposito va considerato che, nel caso di specie, trattandosi di coniugi separati, risultava dal verbale di separazione prodotto agli atti del giudizio di primo grado che la casa coniugale era stata assegnata alla moglie, con la conseguenza che, permanendo la separazione, il marito convenuto non era più ivi residente e la moglie non avrebbe potuto ivi validamente notificare l'atto introduttivo del giudizio di modifica delle condizioni di separazione, essendo a conoscenza che il marito risiedeva altrove, ancorchè risultasse anagraficamente residente nella casa coniugale, nel Comune di Sesto Fiorentino dove questa era ubicata, secondo quanto emergeva dalle certificazioni anagrafiche, parimenti prodotte in quel grado di giudizio, non avendo egli dichiarato la sua nuova residenza.

Va parimenti considerato che esattamente la convenuta deduce che, in tale situazione, posta in essere dal convenuto, che aveva omesso di compiere le prescritte dichiarazioni anagrafiche, la notificazione non poteva essere compiuta ai sensi dell'art. 143 c.p.c., presupponendo tale norma - la quale da luogo ad una "fictio juris", considerando compiuta la notifica attraverso il mero compimento di determinate formalità e costituisce forma di notifica residuale - che il destinatario dell'atto sia irreperibile, non conoscendo il notificante nè potendo conoscere con l'ordinaria diligenza il suo luogo di residenza, dimora o domicilio (Cass. sez. un. 6 dicembre 1978, n. 5753 e successiva costante giurisprudenza), mentre nel caso di specie, secondo quanto documentato in atti, la ricorrente ben conosceva il suo luogo di lavoro l'Università di Tor Vergata in Roma - dove era solita scrivergli, con la conseguenza che egli non poteva essere considerato irreperibile.

Ne deriva che, nel caso di specie, non conoscendo parte attrice il luogo di residenza del convenuto, nè essendo in grado di conoscerlo con gli ordinari mezzi cognitivi, va verificato se la notifica potesse essere validamente compiuta nel luogo di lavoro del convenuto - come avvenuto e sostanzialmente dedotto con il ricorso - ai sensi dell'art. 139 c.p.c., comma ultimo, a norma del quale "quando non è noto il Comune di residenza la notificazione si fa nel Comune di dimora e, se anche questa è ignota, nel Comune di domicilio, osservate in quanto è possibile le disposizioni precedenti".

Ritiene questa Corte che, al fine della possibilità di notifica ai sensi dell'art. 139 c.p.c., ultimo comma, il concetto di "Comune di dimora" - al quale deve farsi riferimento con preferenza e precedenza rispetto al "Comune di domicilio" - vada enucleato in relazione alla "ratio" della norma, che è quella di consentire la notifica, nel caso in cui non sia noto e conoscibile con gli ordinari mezzi cognitivi il Comune di residenza, in luoghi in cui sia riscontrabile una relazione fra il soggetto notificando e il luogo stesso, tale da rendere molto probabile la tempestiva ricezione della notifica da parte del notificando ove effettuata in quel luogo. E appare razionale ritenere che il Comune dove la persona esercita un rapporto di lavoro subordinato o, come nel caso di specie, un rapporto d'impiego pubblico, è un luogo qualificabile come luogo di "dimora" ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 139 c.p.c., comma ultimo.

Conseguentemente, una volta ritenuto che il Comune in cui è situato il luogo di lavoro di un soggetto che ivi eserciti un rapporto di lavoro subordinato o, come nel caso di specie, un rapporto d'impiego pubblico, sia qualificabile nel senso su detto, il luogo di lavoro situato in tale Comune deve a sua volta ritenersi luogo idoneo - nel caso in cui, come nella specie non sia possibile effettuare la notificazione ai sensi dell'art. 139 c.p.c., comma 1, non essendo noto e reperibile il Comune di residenza - per la notifica ai sensi dell'art. 139 c.p.c., ultimo comma.

Ne consegue che il ricorso deve essere accolto e la sentenza della Corte d'appello cassata, con rinvio alla stessa Corte d'appello di Roma, in diversa composizione, che statuirà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d'appello di Roma in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del giudizio di Cassazione.

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