Corte di cassazione Sezioni unite civili Sentenza 23 dicembre 2008, n. 30254
"Il principio di diritto che ne discende e che le sezioni unite enunciano in applicazione dell'art. 363 c.p.c. è dunque questo: - "Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento".
Corte di cassazione Sezioni unite civili Sentenza 23 dicembre 2008, n. 30254
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. - I fatti che hanno dato luogo al giudizio, iniziato davanti al TAR per la Lombardia sezione staccata di Brescia, si possono così riassumere.
2.1. - La Provincia di Mantova, con delibera di giunta 30.4.1999 n. 119, approva il progetto esecutivo della circonvallazione di Medole, ne dichiara la pubblica utilità e fissa il termine di cinque anni, decorrenti dalla data della delibera, per concludere i lavori ed il procedimento di espropriazione.
Seguono, il 18.12.2000, ì decreti di occupazione di urgenza; il 26.10.2001, l'immissione in possesso delle aree; il 6.3.2001 ed il 6.12.2002 la determinazione delle dovute indennità provvisoria e definitiva.
2.2. - Marino G., con il ricorso 1284/2000, unitamente ad altre parti, impugna i decreti di occupazione.
Il TAR dispone una consulenza tecnica per accertare gli eventuali danni arrecati alle aziende delle parti e la possibilità di seguire un percorso alternativo a quello contestato comparando i rispettivi costi e benefici.
2.3. - Il 17.1.2005 è emesso il decreto di espropriazione, che Marino G. impugna con ricorso 476/2005.
2.4. - Il TAR, nei procedimenti riuniti, pronuncia la sentenza non definitiva 19.12.2005 n. 1342.
Quanto al ricorso 1284/2000 proposto per l'annullamento dei decreti di occupazione, ne dichiara, in parte, l'improcedibilità, e ciò riguardo alla domanda di annullamento, perché si é intanto verificata l'irreversibile trasformazione dei suoli, ed in parte ordina la prosecuzione del giudizio, questo per la decisione sulla domanda di risarcimento del danno.
Accoglie il ricorso 476/2005 ed annulla il decreto di espropriazione, perché pronunciato dopo la scadenza del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
3.1. - La Provincia di Mantova impugna la sentenza.
Sostiene, quanto al decreto di espropriazione, che è stato adottato quando la dichiarazione di pubblica utilità era da ritenere fosse ancora efficace; per il caso contrario, chiede sia dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della domanda di annullamento del decreto; chiede di dichiarare inammissibile la domanda di risarcimento del danno.
La sentenza del TAR è anche impugnata con appello incidentale da Marino G.
3.2. - La decisione non definitiva 19.6.2007 n. 1614 della sesta sezione del Consiglio di Stato rigetta il motivo sulla permanente efficacia della dichiarazione di pubblica utilità; rimette all'Adunanza plenaria l'esame degli altri motivi d'appello, tra l'altro per la decisione della questione attinente alla giurisdizione, che si pone quando il decreto d'espropriazione è pronunciato una volta scaduta l'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità.
3.3. - L'Adunanza plenaria, afferma la giurisdizione del giudice amministrativo, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale.
4. - La decisione 22.10.2007 n. 12 della Adunanza plenaria è impugnata da Marino G.
Al ricorso resiste la Provincia di Mantova che propone anche ricorso incidentale.
5. - Ambedue le parti presentano memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. - Il ricorso principale e quello incidentale hanno dato luogo a distinti procedimenti che debbono essere riuniti perché relativi ad impugnazione della stessa sentenza (art. 335 c.p.c.).
2.1. - L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nella propria decisione, ha prima dichiarato che partì del giudizio sono solo Marino G. - che ha chiesto l'annullamento del decreto di espropriazione e proposto domanda di risarcimento del danno - e la Provincia di Mantova - che ha adottato il decreto di espropriazione ed è il solo ente nei cui confronti la domanda di condanna al risarcimento sia stata proposta.
Ha quindi anzitutto messo in rilievo che la pronuncia di accessione invertita, per sé non impugnata da Marino G., avrebbe impedito la restituzione delle aeree coinvolte nella costruzione dell'opera. E questo perché la strada era pressoché terminata ed aperta al traffico già prima della data di cessazione di efficacia della pubblica utilità.
Poi, ha sottolineato che il TAR non aveva reso alcuna pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno, «proposta e persino quantificata nel corso del relativo grado di giudizio».
Erano perciò intempestive ed inammissibili le relative deduzioni e richieste formulate dalle due parti in sede di appello.
2.2. - La questione di giurisdizione - sulla base di una pluralità di argomenti - è stata risolta nel senso che, se è intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità e ad essa nel suo termine di efficacia seguono l'autorizzazione all'occupazione di urgenza, l'occupazione e la trasformazione dei suoli nell'opera pubblica, spetta al giudice amministrativo la giurisdizione sulle domande di annullamento e risarcimento del danno: e ciò anche se le domande vengono fondate sul fatto che il decreto di espropriazione è stato emesso dopo che gli effetti della dichiarazione di pubblica utilità sono cessati, per la scadenza dei suoi termini finali.
2.3. - Tra i punti che l'Adunanza plenaria ha discusso è stato quello della c.d. pregiudizialità amministrativa. |
La plenaria ha bensì avvertito che si trattava di problema non pertinente - in rapporto alla decisione sul ricorso al suo esame - se non per la sua connessione con la questione di giurisdizione.
Tuttavia, posti in rilievo i singoli argomenti di carattere storico giuridico e logico che convincevano della necessità di riaffermazione del principio della pregiudizialità, anche in considerazione di questo ha enunciato in tema di giurisdizione la conclusione che si è prima riferita.
3.1. - Il ricorso principale contiene tre motivi; quello incidentale uno: tutti sono corredati del quesito di diritto richiesto a pena di inammissibilità dagli artt. 366, n. 4, e 366-bis c.p.c.
3.2. - Secondo l'ordine delle questioni deve essere esaminato per primo il ricorso incidentale.
La Provincia di Mantova vuole sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
Alle Sezioni unite si chiede di enunciare il principio di diritto per cui «le controversie in materia di occupazione appropriativa relative al caso in cui il decreto di esproprio sia emanato quando la dichiarazione di pubblica utilità ha cessato di dispiegare i propri effetti e quando peraltro il fondo oggetto del decreto medesimo ha visto modificata irreversibilmente l'originaria destinazione a favore della destinazione ad opera pubblica, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario».
L'accoglimento del ricorso incidentale comporterebbe come conseguenza l'assorbimento del ricorso principale.
3.3. - Nel ricorso principale, in cui si sostiene che bene è stata affermata la giurisdizione del giudice amministrativo, si osserva che però una pronuncia sul fondo della domanda di risarcimento tuttora pendente davanti al TAR può incontrare ostacolo nelle considerazioni svolte della decisione del Consiglio di Stato sul punto della pregiudizialità amministrativa.
Lo si paventa per la ragione che - secondo la decisione impugnata - il giudice amministrativo non può impartire tutela risarcitoria per gli interessi legittimi se non in presenza di una pronuncia di annullamento dell'atto lesivo.
Ma, obietta la Provincia, che la decisione di annullamento del decreto di espropriazione è già passata in giudicato, sicché le considerazioni sulla pregiudizialità, pur svolte nella decisione, non limitano i poteri di decisione del TAR circa la domanda di risarcimento.
Chiede dunque che il ricorso sia dichiarato inammissibile per difetto di interesse.
3.4. - I tre motivi per cui è chiesta la cassazione con il ricorso principale propongono i quesiti che seguono.
A conclusione del primo, la parte chiede alle Sezioni unite di affermare che «la questione in ordine alla conoscibilità della domanda risarcitoria a prescindere dall'utile esperimento della domanda di annullamento sull'atto lesivo rientra tra quelle proponibili ex art. 360, primo comma, n. 1, e 362 c.p.c.».
Si tratta, dunque, non di un motivo di ricorso, ma della giustificazione della sua ammissibilità.
Gli argomenti cui si affida sono quelli svolti da queste Sezioni unite nelle ordinanze nn. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006.
Al secondo motivo corrisponde un quesito con il quale si chiede alle Sezioni unite di affermare che, siccome sulla domanda di risarcimento rivolta al TAR non è stata resa alcuna decisione, il Consiglio di Stato, peraltro non investito a riguardo dì tale domanda da un motivo di appello, non ha il potere giurisdizionale di pronunciarsi direttamente su tale domanda.
Il terzo motivo è formulato a partire dal presupposto che la regola per cui la tutela risarcitoria possa essere impartita dal giudice amministrativo solo se prima l'atto amministrativo lesivo sia stato annullato potrebbe ostacolare l'accoglimento della domanda di risarcimento proposta con il ricorso in annullamento dei decreti di occupazione d'urgenza, perché la domanda è stata bensì proposta, ma il ricorso è stato dichiarato improcedibile, per la sopravvenuta irreversibile trasformazione dei beni, sicché l'annullamento dei decreti d'occupazione è mancato.
Il quesito che conclude il motivo è volto a che sia affermato il principio di diritto, per cui, ai fini della conoscibilità della domanda risarcitoria, il previo annullamento dell'atto amministrativo non è necessario.
4.1. - La considerazione svolta dalla Provincia di Mantova per dire inammissibile il ricorso principale, ovverosia che l'annullamento del decreto di espropriazione è già passato in giudicato, dovrebbe impedire prima di tutto l'esame del suo ricorso.
Ma, da un lato, la sentenza del TAR non era passata in giudicato, perché la Provincia l'ha impugnata sostenendo anche che era stata emessa da giudice carente di giurisdizione, dall'altro la sesta sezione del Consiglio di Stato ha rigettato un diverso motivo di appello, quello volto a far accertare che, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, l'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità non era esaurita alla data di emissione del decreto di esproprio. Ha perciò rigettato un motivo intrinseco alla giurisdizione del giudice amministrativo, affermata e non negata, motivo orientato inoltre al rigetto nel merito della domanda G. di annullamento del decreto di espropriazione e non ad un rigetto per difetto di giurisdizione.
Ciò premesso, il motivo per cui la Provincia di Mantova ha chiesto la cassazione della decisione non è fondato.
4.2. - La domanda da Marino G. è stata proposta con ricorso del 2005, per ottenere l'annullamento di un decreto d'espropriazione emesso il 17.1.2005, in un procedimento all'inizio del quale si colloca una dichiarazione dì pubblica utilità pronunciata il 30.4.1999.
L'annullamento è stato chiesto perché, quando si è emesso il decreto, l'efficacia della pubblica utilità era esaurita.
Orbene, il provvedimento impugnato si inserisce in un procedimento caratterizzato dall'iniziale presenza di una dichiarazione di pubblica utilità, cui sono seguite l'occupazione di urgenza e la esecuzione dell'opera pubblica.
Questi elementi di fatto ed i suoi dati temporali collocano la controversia nell'area della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, configurata dalla disposizione, che l'art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205 ha reintrodotto nell'art. 34 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ed è entrata in vigore a decorrere dal 10.8.2000.
Di questa norma la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204.
Ma, tenendo conto dell'interpretazione che della portata della propria sentenza la Corte costituzionale ha dato con la successiva sentenza 191 dell'11 maggio 2006, quando ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 53 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (t.u. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), queste Sezioni unite hanno successivamente e in modo reiterato affermato che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, risultante dalla disposizione richiamata, s'estende alle controversie contro atti e comportamenti, che costituiscano esecuzione di precedenti manifestazioni in forma provvedimentale di potere ablatorio in relazione al bene di cui si discute.
E così, mentre è stata ritenuta appartenere alla giurisdizione ordinaria la domanda intesa alla restituzione d'un fondo occupato dopo che l'efficacia della dichiarazione di pubblica utilità è scaduta (Sez. Un. 16 luglio 2008, n. 19501), è stato per contro affermato che appartengono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le domande cui dà origine l'emissione di un decreto di espropriazione, pur esso sopravvenuto ad efficacia della dichiarazione di pubblica scaduta, ma quando l'occupazione e trasformazione dei fondi si sono consumate prima, com'è nel caso in esame, che ha come antefatto una dichiarazione di pubblica utilità non impugnata, nel cui quadro si è prodotto un fenomeno di occupazione appropriativa (tra le più recenti decisioni in tal senso: Sez. un. 15 luglio 2008, n. 19500; 23 aprile 2008, n. 10444; cui si può aggiungere la sentenza 27 giugno 2007, n. 14794).
5.1. - Con il rigetto del ricorso della Provincia di Mantova che consegue alla dichiarata infondatezza del motivo appena discusso, s'è realizzato quel passaggio in giudicato del capo della sentenza del TAR, di annullamento del decreto di espropriazione, al quale, come si è detto prima, la Provincia ricollegava l'inammissibilità del ricorso G., per difetto di interesse.
5.2. - A questo riguardo si deve osservare che, se G. avesse proposto domanda volta al solo risarcimento del danno prodottogli
dalla irreversibile trasformazione del bene, rimasta non coperta dagli effetti del decreto di espropriazione, l'esito prospettato dalla Provincia sarebbe stato incontestabile.
A G. non si sarebbe potuto riconoscere alcun interesse a ridiscutere il punto se il giudice amministrativo possa erogare la tutela risarcitoria in assenza di un annullamento dell'atto che la parte assume illegittimo e lesivo.
Ma, dalle decisioni del Consiglio di Stato emerge che una domanda di danni è stata anche proposta in connessione con quella di annullamento dei decreti di occupazione.
Nella misura in cui l'esame del fondo di questa domanda possa risultare pregiudicata dalle considerazioni che il Consiglio di Stato ha svolto a proposito della questione della pregiudizialità amministrativa, l'interesse del ricorrente principale a mettere in discussione il punto non può essere già in tesi negato.
5.3. - Tuttavia, dei tre motivi di ricorso, il primo non denunzia un vizio della decisione impugnata, ma serve a sollecitare le Sezioni unite ad esercitare sulla decisione impugnata il sindacato preannunziato nelle ordinanze nn. 13659 e 13660 del 13 giugno 2006 e 13911 del 15 giugno 2006, ed in ciò incontra il dissenso della Provincia di Mantova.
Sicché il punto dovrà essere discusso se ed in quanto altri motivi di ricorso si riveleranno ammissibili.
5.4. - Ora, il secondo motivo è inammissibile.
Come vizio attinente alla giurisdizione è denunziato in effetti un vizio che concerne il procedere e non il decidere.
E questo, perché il vizio non riguarda le condizioni in presenza delle quali la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi verso la pubblica amministrazione è affidata dalla Costituzione o dalla legge ordinaria al giudice amministrativo, anziché ad un altro giudice ordinario o speciale, ma riguarda i presupposti processuali che debbono essere verificati nel caso concreto perché sorga nei giudici amministrativi aditi, di primo o di secondo grado, il dovere di pronunciare sulla domanda di giustizia.
Sicché, se il giudice amministrativo di appello, errando nella applicazione delle norme che regolano il procedimento davanti a sé, non già eroga o rifiuta di erogare la tutela giurisdizionale che gli è affidata, ma ritiene di doverlo fare sebbene manchino gli specifici presupposti per un suo intervento dopo di quello del giudice di primo grado e non prima di quello, il vizio della sua decisione non si presta ad essere sindacato.
5.5. - Il terzo motivo di ricorso non riguarda invece il procedere ma il decidere.
Se, all'esito della discussione sulla questione già esaminata da queste Sezioni unite con le ordinanze del 2006, si pervenisse a confermare quell'indirizzo, il motivo dovrebbe essere scrutinato nel merito.
Ma resta ancora da verificare un punto.
Ed il punto è se, una volta che la decisione pronunciata dalla Adunanza plenaria contiene considerazioni sulla questione della pregiudizialità amministrativa e su tali considerazioni è stata anche basata la decisione sulla questione di giurisdizione, spetti o no alle Sezioni unite verificare se esse hanno o no assunto valore decisorio.
La risposta è che questa verifica rientra nei poteri delle Sezioni unite ed essa si deve concludere in senso negativo, nel senso, cioè, che manca nella decisione del Consiglio di Stato una pronuncia sulla domanda risarcitoria.
La verifica rientra nei poteri delle Sezioni unite perché esse sono richieste di pronunciarsi su un ricorso per cassazione e quindi spetta loro individuare prima di ogni altra cosa se la sentenza impugnata presenti il capo che si assume viziato e perciò in un caso di ricorso contro decisione del Consiglio di Stato, una pronuncia che, in combinazione con quella di primo grado, sia di accoglimento o rigetto di una domanda e poi se tale decisione sia viziata sotto l'opposto profilo d'aver accordato o rifiutato una tutela estranea od al contrario di competenza di quell'ordine di giudici.
Ora, il Consiglio di Stato ha bensì desunto argomento dalla pregiudizialità amministrativa, ritenuta un tratto caratterizzante della tutela giurisdizionale attribuita al giudice amministrativo, per coonestare l'affermazione della giurisdizione, ma ciò con riferimento alla domanda introdotta con il ricorso in annullamento del decreto di espropriazione e non anche in riferimento a quella risarcitoria introdotta con il ricorso in annullamento dei decreti di occupazione, che ha specificamente detto proposta e non decisa, neppure sotto il profilo della ammissibilità.
E conferma di ciò si trae da più elementi per vero decisivi.
Il Consiglio di Stato ha espressamente rilevato che il TAR non s'era pronunciato sulla domanda risarcitoria (ed al riguardo ha richiamato, per dire proposta la domanda, le istanze 23.2. e 29.10.2001 di G., inerenti al ricorso contro i decreti di occupazione).
Ha esaminato in aggiunta al motivo di cui al punto 6, già scrutinato dalla sesta sezione, quelli di cui ai punti 4 e 5, afferenti all'annullamento del decreto di espropriazione.
Infine, siccome si trattava non di un caso in cui la domanda risarcitoria era stata proposta senza che lo fosse stata quella di annullamento, ma di una domanda proposta in seguito a quella di annullamento e questa era stata dichiarata improcedibile non per comportamenti processuali riconducibili al ricorrente, ma per la sopravvenuta irreversibile trasformazione del fondo, il Consiglio di Stato, se avesse inteso riferire la disamina del tema della pregiudizialità anche a quella domanda e con effetti decisori non avrebbe mancato di interrogarsi sul modo d'intendere il principio, come necessità di una tempestiva domanda di annullamento o come necessità, in assenza di un annullamento in sede amministrativa, di un accertamento principale di illegittimità dell'atto lesivo in sede giurisdizionale.
Anche quest'ultimo motivo lo sì deve allora considerare inammissibile.
6. - Il ricorso principale è in conclusione nel suo complesso inammissibile.
Tuttavia non è esaurito il dovere della sezioni unite di pronunciarsi sui ricorsi.
7. - La Corte osserva, infatti, che l'istituto della pregiudizialità amministrativa nei suoi rapporti con la tutela risarcitoria degli interessi legittimi si presenta oggi come questione rilevante e di particolare importanza.
Essa si presterà dunque ad essere discussa dalle Sezioni unite in vista della enunciazione di un apposito principio di diritto, in applicazione dell'art. 363 c.p.c., come già è stato fatto in tema di giurisdizione con la sentenza 28 dicembre 2007, n. 27187, se ne risulterà dimostrato che si tratta di questione che rientra nel sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione, cui l'art. 111, ultimo comma, Cost. assoggetta anche le decisioni del Consiglio di Stato e che l'art. 374, primo comma, in relazione all'art. 362, primo comma, c.p.c. attribuisce alla Corte di cassazione a sezioni unite, attraverso il mezzo del ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione.
8.1. - Prima di accingersi a tale indagine, conviene delimitare lo stesso ambito della questione.
È implicito in quanto si è già osservato, che il campo in cui la questione ha ragione di porsi non coincide con l'intero ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, perché, pur quando la controversia concerne una materia di giurisdizione esclusiva, di pregiudizialità amministrativa si può discorrere solo se si lamenti che la P.A. ha sacrificato o non realizzato un interesse con un suo provvedimento illegittimo, non anche quando un diritto è stato sacrificato con un comportamento, che pur si iscriva in una serie presidiata da un originario atto di esercizio di potere amministrativo.
Perché questo, come è stato già posto in rilievo con la ordinanza 27 giugno 2007, n. 14794 della Corte a sezioni unite, può assumere i caratteri di un fatto giuridico che rileva nel senso di attrarre la controversia all'area della giurisdizione esclusiva, ma non anche di fatto che muta in quella di interesse legittimo la qualificazione come diritto soggettivo che spetta alla situazione sacrificata ed in attesa di tutela.
Detto questo, si nota che la questione muove da un presupposto che oggi si può considerare non più in discussione e condiviso anche da buona parte della giurisprudenza sia del Consiglio di Stato che dei Tribunali amministrativi regionali.
L'art. 7, comma 3, l. 6 dicembre 1971, n. 1034 - dopo le modifiche che vi sono state apportate con l'art. 35 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e con l'art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205 - dispone che il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione e perciò pure nell'ambito della sua giurisdizione di legittimità conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno.
La Corte costituzionale, prima con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204 poi con la sentenza 11 maggio 2006, n. 291, ha segnalato il fondamento di legittimità di questa attribuzione e lo ha indicato nell'art. 24 Cost., perciò nel principio di effettività della tutela giurisdizionale, il quale richiede che il giudice cui è affidata la tutela giurisdizionale degli interessi legittimi nei confronti della pubblica amministrazione sia munito di adeguati poteri.
Sia il Consiglio di Stato e sia questa Corte a Sezioni unite hanno in seguito affermato, in modo costante e coerente, che spetta al giudice amministrativo, in presenza di atti della P.A., espressione di potere, ma connotati da illegittimità e di fatto lesivi, dare tutela al privato anche in forma risarcitoria.
Ragione di permanente incertezza deriva invece dal dissenso tra le Corti su un diverso punto.
Questa Corte, a sezioni unite, con le ordinanze nn. 13659 e 13660 del 2006 ha affermato che, di fronte ad un atto della P.A. che ne sacrifica l'interesse o manca di realizzarlo, la parte, che ha l'onere di rivolgersi al giudice amministrativo per ottenere tutela, può scegliere di chiedere il solo risarcimento del danno.
Per contro, l'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione che s'è esaminata, ha ribadito l'orientamento per cui la tutela risarcitoria degli interessi legittimi presuppone che la illegittimità sia accertata e perciò, quando l'atto non sia stato già annullato, in sede amministrativa o dal giudice, la domanda risarcitoria non può essere da lui esaminata, se non in presenza di una tempestiva domanda di annullamento.
8.2. - La Corte, a sezioni unite, nelle ordinanze del 2006, attinta la conclusione che la l. 21 luglio 2000, n. 2005, all'art. 7 ha dato al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda autonoma di risarcimento del danno, ha osservato: «Tutela risarcitoria autonoma significa tutela che spetta alla parte per il fatto che la situazione soggettiva è stata sacrificata da un potere esercitato in modo illegittimo e la domanda con cui questa tutela è chiesta richiede al giudice di accertare l'illegittimità di tale agire. Questo accertamento non può perciò risultare precluso dalla inoppugnabilità del provvedimento né il diritto al risarcimento può essere per sé disconosciuto da ciò che invece concorre a determinare il danno, ovvero la regolazione che il rapporto ha avuto sulla base del provvedimento e che la pubblica amministrazione ha mantenuto nonostante la sua illegittimità. Dunque il rifiuto della tutela risarcitoria autonoma, motivato sotto gli aspetti indicati, si rivelerà sindacabile attraverso il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione».
Più di recente, questa impostazione è stata ribadita dalle Sezioni unite nella ordinanza 16 novembre 2007, n. 23471, in sede di regolamento preventivo di giurisdizione in relazione a domanda risarcitoria autonoma proposta a giudice ordinario, senza che fosse stato chiesto al giudice amministrativo l'annullamento dell'atto lesivo.
Tuttavia l'impostazione non ha trovato unanimi consensi con la conseguenza che su di essa è dunque necessaria un'ulteriore riflessione.
9. - Contro le decisioni della Corte dei conti e del Consiglio di Stato il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione - così il terzo comma dell'art. 111 Cost., divenuto l'ottavo dopo la l. cost. 23 novembre 1999, n. 2 "Inserimento dei principi del giusto processo nell'art. Ili della Costituzione".
La norma delimita ed al tempo stesso descrive, attraverso l'espressione «per i soli motivi inerenti alla giurisdizione», l'ambito ed i limiti del sindacato per violazione di legge che la Corte a sezioni unite può compiere anche sulle sentenze dei giudici speciali, quando ad essere impugnata è una decisione del giudice amministrativo.
Primo e necessario interprete della norma è la stessa Corte, chiamata a conformare l'esercizio del suo potere giurisdizionale in questo campo sul significato che all'espressione deve essere riconosciuto.
10.1. - Anche a proposito di questa norma, l'interpretazione deve tenere conto della evoluzione che nel tempo l'ordinamento, nel suo complesso, ha conosciuto.
Evoluzione caratterizzata da una molteplicità di fattori.
Tra questi, il rapporto tra diritto comunitario ed ordinamento interno ed il ruolo della giurisdizione nel rendere effettivo il principio del primato del diritto comunitario; la rimozione del limite alla tutela risarcitoria degli interessi legittimi, la caduta del limite dei diritti consequenziali in rapporto alla tutela risarcitoria dei diritti nell'ambito della giurisdizione esclusiva e l'estensione ai diritti consequenziali d'ogni forma di tutela pertinente alla giurisdizione del giudice amministrativo; la coeva progressiva espansione della giurisdizione esclusiva (rispetto alle nove ipotesi regolate dall'art. 29 t.u. 22 giugno 1924, n. 1054); il rilievo assunto dal canone della effettività della tutela e dal principio di unità funzionale della giurisdizione nella interpretazione del sistema ad opera della giurisprudenza e della dottrina; la riaffermazione del rilievo costituzionale del principio del giusto processo; il nuovo ruolo assunto nell'ordine delle fonti dal diritto pattizio internazionale; l'emersione, come corollario del principio di effettività, della regola di conservazione degli effetti prodotti sul piano processuale e sostanziale dalla domanda di giustizia.
10.2. - Giurisdizione - è stato osservato da più parti - è termine che può essere inteso in diversi modi.
Nel tessuto della Costituzione non è oggi possibile dubitare che per giurisdizione deve essere inteso non in sé il potere di conoscere di date controversie, attribuito per una specifica parte a ciascuno dei diversi ordini di giudici di cui l'ordinamento è dotato, ma quel potere che la legge assegna e che è conforme a Costituzione che sia assegnato ai giudici perché risulti attuata nel giudizio la effettività dello stesso ordinamento.
Giurisdizione, nella Costituzione, per quanto interessa qui, è termine che va inteso nel senso di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi e dunque in un senso che comprende le diverse tutele che l'ordinamento assegna ai diversi giudici per assicurare l'effettività dell'ordinamento.
Che ciò sia si desume dalla convergenza di più norme della Costituzione: l'art. 24, primo comma, che guarda ai diritti ed agli interessi, sia come situazioni giuridiche di cui le parti sono titolari sia come oggetto del diritto delle parti di agire in giudizio per la tutela di tali situazioni di interesse sostanziale protette dall'ordinamento; l'art. 113, primo e secondo comma, da cui si trae che la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi, contro gli atti della pubblica amministrazione, da un lato è sempre ammessa dinanzi agli organi di giurisdizione amministrativa, dall'altro non può essere limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti; l'art. 111, primo comma, che, mediante i principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, esprime quello di effettività della tutela giurisdizionale.
Se attiene alla giurisdizione l'interpretazione della norma che l'attribuisce, vi attiene non solo in quanto riparte tra gli ordini di giudici tipi di situazioni soggettive e settori di materia, ma vi attiene pure in quanto descrive da un lato le forme di tutela, che dai giudici si possono impartire per assicurare che la protezione promessa dall'ordinamento risulti realizzata, dall'altro i presupposti del loro esercizio.
10.3. - Interessa qui dare giustificazione dell'assunto, che è norma sulla giurisdizione non solo quella che individua i presupposti dell'attribuzione del potere giurisdizionale, ma anche quella che dà contenuto al potere stabilendo attraverso quali forme di tutela esso si estrinseca.
La giustificazione può essere svolta avendo riguardo alla tutela risarcitoria come aspetto della giurisdizione esclusiva.
10.4. - Il terzo comma dell'art. 7 della legge TAR - riproducendo nella sostanza la disposizione contenuta nell'art. 30, secondo comma, del r.d. 1054 del 1924 sul Consiglio di Stato - aveva stabilito che nelle materie deferite alla giurisdizione esclusiva dei tribunali amministrativi restavano riservate all'autorità giudiziaria le questioni attinenti a diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di illegittimità dell'atto o provvedimento contro cui si ricorre.
Ma, intervenuto l'art. 13 della l. 19 febbraio 1992, n. 142 in adempimento degli obblighi comunitari ed affermatosi con la sentenza 22 luglio 1999, n. 500 delle sezioni unite il principio per cui, di fronte ad un esercizio illegittimo della funzione pubblica, diritto al risarcimento del danno ingiusto v'era in presenza del sacrificio di una qualsiasi situazione di interesse rilevante da cui fosse derivato danno, la tutela risarcitoria era divenuta ammissibile davanti al giudice ordinario come tutela autonoma, salvi i casi di giurisdizione esclusiva estesa ai diritti consequenziali.
La disposizione è poi ricaduta nell'ambito di applicazione della norma abrogante dettata dall'art. 35.5. del d.lgs. 80 del 1998, sostituito dall'art. 7 lett. e), della l. 205 del 2000, con cui si è stabilito che fosse abrogata ogni disposizione che prevedeva la devoluzione al giudice ordinario delle «controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti amministrativi».
Con l'art. 7, lett. e), della l. 205 del 2000 è stato anche sostituito il primo comma dell'art. 35.1. del d.lgs. 80 del 1998, ed è stato stabilito che «Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto».
10.5. - Orbene, a proposito della legittimità costituzionale dell'art. 35.1. si deve muovere dal considerare quanto ha osservato la Corte costituzionale non solo nelle sentenze 204 del 2004 e 191 del 2006, ma anche nella sentenza 77 del 2007.
La sentenza della Corte sul tema della translatio iudicii - che trae le conseguenze dal parallelo attuale significato della competenza e della giurisdizione - si presenta innervata da tre ordini di considerazioni.
La pluralità dei giudici costituisce una articolazione interna di un sistema di organi nel suo complesso deputato a dare una risposta di merito alla domanda di tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi.
Se la tutela giurisdizionale deve essere effettiva e tanto più riesce ad esserlo in quanto siano messe a frutto le distinte competenze dei vari ordini di giudici; una volta che la domanda dì giustizia sia formulata, le norme processuali, che sono destinate ad assicurare il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale in funzione della migliore decisione, debbono prevedere i congegni che consentono di riparare l'errore compiuto dalla parte nella scelta del giudice, ma anche di superare l'errore del giudice nel denegare la giurisdizione, perché altrimenti il diritto alla tutela giurisdizionale risulterebbe frustrato dalle stesse norme che sono ordinate al suo migliore soddisfacimento.
Come a questa esigenza è informato il sistema delle norme che presiedono alla distribuzione delle competenze nell'ambito dello stesso ordine di giudici, così gli artt. 24 e 111 Cost. impongono che ciò sia per il sistema delle norme che regolano il riparto della competenza giurisdizionale tra i diversi ordini di giudici.
I principi di unità funzionale della giurisdizione e di effettività della tutela giurisdizionale sono anche alla base delle precedenti decisioni in tema di giurisdizione esclusiva.
Nella sentenza 191 del 2006 la Corte costituzionale ha messo in rilievo l'importanza dell'osservazione già fatta nella sentenza 204 del 2004: non costituire altra materia di giurisdizione esclusiva l'attribuzione al giudice amministrativo del potere di risarcire il danno subito dalla parte a causa delle illegittime modalità di esercizio della funzione amministrativa.
E da un lato ne ha descritto il valore, di «attribuzione alla giurisdizione amministrativa della tutela risarcitoria - non a caso con la medesima ampiezza, e cioè sia per equivalente sia in forma specifica, che davanti al giudice ordinario»; da altro lato ne ha rinvenuto il fondamento di legittimità costituzionale «nella esigenza, coerente con i principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost. di concentrare davanti ad un unico giudice l'intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio della funzione pubblica» (all'uopo richiamando la sentenza 22 luglio 1999 n. 500/SU di questa Corte).
10.6. - Il senso di quest'impostazione - secondo la spiegazione che ne ha dato la Corte costituzionale - sta in ciò che, siccome giudice naturale della legittimità della funzione pubblica è il giudice amministrativo, gli artt. 24 e 111 Cost., che postulano l'effettività della tutela giurisdizionale, vengono a porsi come una sufficiente base di legittimazione sul piano costituzionale per una scelta, che trascende la qualificazione sostanziale della pretesa risarcitoria, per concentrare davanti ad un unico giudice l'intera tutela del cittadino avverso le modalità di esercizio di quella funzione.
10.7. - La giustificazione che sul piano costituzionale quella Corte ha dato a proposito delle disposizione dettata dal primo comma dell'art. 35 e che l'ha condotta a negare che la domanda del cittadino vada rivolta al giudice ordinario per ciò solo che abbia come oggetto esclusivo il risarcimento del danno è stata dunque, che essa è valsa a realizzare una giurisdizione piena del giudice della funzione pubblica in nome della effettività della tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi di fronte alla pubblica amministrazione.
10.8. - Orbene, quando dal giudice amministrativo si afferma che la tutela risarcitoria può essere somministrata dal quel giudice, in presenza di atti illegittimi della pubblica amministrazione, solo se gli stessi siano stati previamente annullati in sede giurisdizionale o di autotutela, si finisce col negare in linea di principio che la giurisdizione del giudice amministrativo includa nel suo bagaglio una tutela risarcitoria autonoma, oltre ad una tutela risarcitoria di completamento.
E perciò, presupposto, in ipotesi, che rientri nei poteri del giudice amministrativo erogare la tutela risarcitoria autonoma, il rigetto della relativa domanda, si risolve in un rifiuto di erogare la relativa tutela.
Ed infatti, tale rifiuto dipenderebbe non da determinanti del caso concreto sul piano processuale o sostanziale, ma da un'interpretazione della norma attributiva del potere di condanna al risarcimento del danno, che approda ad una conformazione della giurisdizione da cui ne resta esclusa una possibile forma.
Ma ciò si traduce in menomazione della tutela giurisdizionale spettante al cittadino di fronte all'esercizio illegittimo della funzione amministrativa ed in una perdita di quella effettività, che ne ha giustificato l'attribuzione al giudice amministrativo.
11.1. - Rientra d'altra parte nello schema logico del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l'operazione che consiste nell'interpretare la norma attributiva dì tutela, per verificare se il giudice amministrativo non rifiuti lo stesso esercizio della giurisdizione, quando assume della norma un'interpretazione che gli impedisce di erogare la tutela per come essa è strutturata, cioè come tutela risarcitoria autonoma.
11.2. - È pacifico, invero, che possibile oggetto di sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione sia anche la decisione che neghi la giurisdizione del giudice adito.
11.3. - Storicamente, la problematica del giudizio sulla questione di giurisdizione si è venuta costruendo come problema di riparto tra le giurisdizioni.
La più diffusa esperienza giurisprudenziale sull'argomento si è avuta riguardo al confronto tra la giurisdizione del giudice ordinario, che è una giurisdizione sul rapporto, e quella del giudice amministrativo, che, nata come giurisdizione sull'atto, nel quadro non più di una giurisdizione speciale, si va anch'essa trasformando in una giurisdizione sul rapporto, specie sotto il profilo della tutela risarcitoria, dopo il crollo del muro della irrisarcibilità dell'interesse legittimo.
Il modello della giurisdizione esclusiva solo con la legge sui TAR ha preso ad essere effettivamente impiegato dal legislatore in campi diversi da quello, precipuo, delle controversie traenti origine dal rapporto di pubblico impiego e così lo stabilire se i giudici dei due ordini avevano sbagliato nell'esercitare o rifiutare di esercitare la giurisdizione s'è tradotto nel compiere, in base all'ordinamento ed alla interpretazione della pertinente norma di qualificazione, l'operazione d'attribuire alla concreta situazione giuridica dedotta in giudizio come oggetto dì tutela la natura di diritto soggettivo od interesse legittimo.
Lo strumento logico che ne è risultato forgiato - consistente nel verificare se la decisione abbia attuato un «superamento dei limiti esterni della giurisdizione» - ha assunto in questo modo il significato di una certificazione di correttezza dell'operazione ermeneutica compiuta dal giudice, se ed in quanto condotta al solo livello di qualificazione, della situazione soggettiva dedotta in giudizio, alla stregua del diritto oggettivo.
Le norme sulle diverse fattispecie di giurisdizione esclusiva, delineando il loro ambito di applicazione in base alla presenza di fattori ulteriori rispetto alla situazione soggettiva di interesse legittimo hanno comportato invece la necessità di estendere l'opera di qualificazione dei fatti oggetto di giudizio a quelli cui la norma attributiva di giurisdizione ha assegnato la portata di delimitare l'ambito delle controversie costituenti la materia di giurisdizione esclusiva.
Ma, pur così ampliato il campo del suo impiego, la regola dei limiti esterni è in grado di servire allo scopo di espungere dall'area dei motivi attinenti alla giurisdizione ogni segmento del giudizio che si rivela estraneo alla ricognizione della portata della norma che attribuisce giurisdizione, ricognizione che costituisce invece l'oggetto su cui al giudizio del giudice amministrativo si può sovrapporre, modificandolo, quello della Corte di cassazione a sezioni unite
11. 4. - Peraltro, come mostra nel campo della giurisdizione di merito il caso dei ricorsi per l'ottemperanza (artt. 27 n. 4 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e 7, comma 1, l. 6 dicembre 1971, n. 1034) - che, a ben vedere, integrano una forma di tutela, più che una materia - una questione di giurisdizione si presenta anche quando non è in discussione che la giurisdizione spetti al giudice cui ci si è rivolti, perché è solo quel giudice che secondo l'ordinamento la può esercitare, ma si deve invece di stabilire se ricorrono - in base alla norma che attribuisce giurisdizione - le condizioni perché il giudice abbia il dovere di esercitarla (così, in rapporto al decreto di accoglimento di ricorso straordinario al Capo dello Stato, il configurarsi come giudicato ha potuto essere discusso come questione di giurisdizione da Sez. Un. 2 ottobre 1953, n. 3141 e più di recente Sez. Un. 18 dicembre 2001, n. 2448).
11.5. - È parso che le ordinanze di questa Corte del 2006 non si siano attenute al canone richiamato al punto 11.2. ed abbiano invece preconizzato una invasione dell'ambito proprio della giurisdizione del giudice amministrativo, là dove, interpretata la norma dettata dall'art. 7 della legge TAR nel testo modificato dalla l. 205 del 2000, nel senso che abbia attribuito la tutela risarcitoria degli interessi legittimi al giudice amministrativo, hanno anche detto che nella norma non vi è il limite per cui la domanda di tale tutela allora solo determina nel giudice amministrativo il dovere di giudicarne il fondo, quando dell'atto illegittimo è chiesto od è stato già pronunciato l'annullamento.
Ma, da un punto di vista logico e per quello che si è detto, questo assunto non convince.
Postulare che la norma che attribuisce ad un giudice una forma di tutela lo faccia sulla base di un determinato presupposto positivo o negativo, dalla cui presenza ne dipenda l'erogazione, per un verso, come si è visto, inerisce al giudizio che quel giudice deve compiere per stabilire in che limiti la giurisdizione gli è attribuita.
Per altro verso, il sindacato che assume a suo oggetto questo tratto si arresta e non oltrepassa il limite oltre il quale non può essere esercitato, perché si appunta su un aspetto della norma e si traduce in una decisione della Cassazione, che vincola ad esercitare la giurisdizione rispettando i tratti essenziali della forma di tutela in questione, senza pretendere di costringere a riconoscere rispettati dalla domanda né le condizioni processuali d'una decisione di merito né ì fatti che danno in concreto diritto alla tutela richiesta.
11.6. - Le sezioni unite sono in conclusione autorizzate a passare alla discussione della questione di particolare importanza in precedenza anticipata, al punto 7.
12.1. - Punto di partenza nell'indagine sulla disciplina positiva della tutela degli interessi legittimi come dei diritti soggettivi non può non essere l'art. 24, primo comma, Cost.
Dal quale - perché dispone che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi - non pare sia possibile trarre se non il significato che dei diritti e degli interessi, di cui è titolare, ognuno è arbitro di chiedere tutela e che perciò a ciascuno spetta non solo di scegliere se chiedere tutela giurisdizionale, ma anche di scegliere di quale avvalersi, tra le diverse forme di tutela apprestate dall'ordinamento, per reagire al fatto che l'interesse sostanziale della parte, protetto dall'ordinamento, sia rimasto insoddisfatto.
Queste sezioni unite, nelle ordinanze del 2006 e del resto in consonanza con diffusi orientamenti della dottrina, alla luce della Costituzione e dello stadio di evoluzione dell'ordinamento, avevano già avuto modo di porre l'accento sulla insostenibilità di precedenti ricostruzioni della figura dell'interesse legittimo e della giurisdizione amministrativa, che il primo configuravano come situazione funzionale a rendere possibile l'intervento degli organi della giustizia amministrativa, e della seconda predicavano la natura di giurisdizione di diritto oggettivo, e dunque di mezzo direttamente volto a rendere possibile, attraverso una nuova determinazione amministrativa, il ripristino della legalità violata e solo indirettamente a realizzare l'interesse del privato.
12.2. - Altro punto di riferimento è rappresentato, per ciò che interessa qui, dall'art. 113, primo e secondo comma, Cost. e dal precetto in essi contenuto, che è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giustizia ordinaria o amministrativa e che tale tutela non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione.
Il precetto è venuto ad assumere ulteriore concretezza a cavallo della fine del '900, quando, con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, la riflessione compiuta dalle sezioni unite con la sentenza 500 del 1999 sulla vicenda della risarcibilità degli interessi legittimi e la disciplina al riguardo introdotta infine con la l. 21 luglio 2000, n. 205, ha finito con l'essere acquisito che, se l'ordinamento protegge una situazione di interesse sostanziale, in presenza di condotte che ne impediscono o mancano di consentirne la realizzazione, non può essere negato al suo titolare almeno il risarcimento del danno, posto che ciò costituisce la misura minima, e perciò necessaria di tutela di un interesse, indipendentemente dal fatto che la protezione assicurata dall'ordinamento in vista della sua soddisfazione, sia quella propria del diritto soggettivo o dell'interesse legittimo.
12.3. - Lo sbocco cui conduce il confluire di questa acquisizione nell'alveo dei principi desunti dagli artt. 24 e 113 Cost. è che, per i diritti soggettivi come per gli interessi, spetta al loro titolare tutela sul piano risarcitorio e, se a questa si aggiunge altra forma di tutela, spetta al titolare della situazione protetta, in linea di principio, scegliere a quale far ricorso in vista di ottenere ristoro al pregiudizio provocatogli dall'essere mancata la soddisfazione che è attesa attraverso la condotta altrui.
12.4.1. - L'ordinamento, come assoggetta con norme di diritto sostanziale l'esercizio dei diritti a termini di prescrizione o di decadenza, così dispone con norme di diritto processuale circa i tempi di accesso alla tutela giurisdizionale; esclude in casi specifici determinate situazione soggettive dall'attribuzione di una tra le forme di tutela invece in via generale riconosciute a situazioni dello stesso tipo e, quando riconosce più forme di tutela in concorso tra loro, può prevedere regole di coordinamento nell'atto di farle valere.
È in questo quadro che si inserisce il tema del rapporto tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria, rispetto alle situazioni di interesse legittimo.
12.4.2. - Così, in diritto amministrativo europeo, delle decisioni delle Istituzioni della Comunità prese nei suoi confronti la parte può chiedere l'annullamento per motivi d'illegittimità nel termine di sessanta giorni da quando ne ha avuto conoscenza, mentre ad un eguale termine non è soggetta l'azione per responsabilità delle Istituzioni comunitarie sul piano extracontrattuale.
La elaborazione giurisprudenziale di questo sistema - la cui ricostruzione, peraltro, appare alla dottrina italiana non sicura - sembra non escludere la possibilità che in sede di azione di danni si abbia un accertamento incidentale circa l'illegittimità dell'atto non impugnato, anche se registra un sicuro orientamento volto a negare il risarcimento almeno in un definito settore, in particolare quando la relazione controversa intercorre solo tra il ricorrente e la istituzione pubblica e la domanda di danni tende allo stesso risultato che si sarebbe potuto conseguire con l'azione di annullamento.
12.4.3. - Il diritto civile presenta, da noi, in campo societario una specifica disciplina della invalidità delle delibere delle società di capitali.
Dove è negata la legittimazione all'azione di annullamento ed è data l'azione di danni (art. 2377, quarto comma, c.c.), il termine per proporre la domanda di risarcimento non è diverso da quello dell'azione di impugnazione (art. 2377, sesto comma).
V'è dunque, la specifica previsione di un termine di esercizio per l'azione di danno.
D'altro canto, il diritto societario prevede ipotesi, in cui non sì può pronunciare l'invalidità della delibera, ma la si può accertare in funzione della condanna al risarcimento del danno (artt. 2377 penultimo comma; 2379-ter secondo comma e 2504-quater secondo comma).
È dunque la tutela demolitoria ad essere impedita - dalla sostituzione della delibera o dalla sua avvenuta esecuzione - non lo stesso accertamento dell'invalidità della delibera, in funzione della ammessa tutela risarcitoria.
12.4.4. - Nel campo del diritto del lavoro, ad una problematica di rapporti tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria, dà luogo la disciplina del licenziamento e della sua impugnazione (artt. 6 ed 8 della l. 15 luglio 1966, n. 604; 8 della l. 20 maggio 1970, n. 300).
L'orientamento della giurisprudenza al riguardo è nel senso che la mancata impugnazione del licenziamento nel termine fissato non comporta la liceità del recesso del datore di lavoro (Cass. 12 ottobre 2006, n. 21833).
L'inoppugnabilità preclude sì al lavoratore oltre alla tutela reale della reintegrazione nel posto di lavoro, di rivendicare tutela sul piano risarcitorio per il danno costituito ed originato dalla mancata percezione degli emolumenti altrimenti spettanti.
Ciò non toglie, però, che l'ingiustizia del licenziamento resta tale ed è perciò suscettibile di accertamento se si presenta come componente di una più ampia condotta lesiva, cioè quando ha concorso a provocare un danno, diverso da quello patrimoniale costituito dalla perdita degli emolumenti.
12.4.5. - Nei rapporti tra privati ed in materia contrattuale, la scelta tra i mezzi di reazione all'inadempimento - la condanna all'adempimento o la risoluzione del contratto - è lasciata alla parte che lo subisce, ma vige la regola di coordinamento per cui la prima non può essere più chiesta, quando lo è stata la seconda, mentre ad ambedue ed a loro completamento si accompagna la tutela risarcitoria, che tuttavia può essere esperita al posto delle altre (art. 1453 c.c.).
12.5.1. - Le situazioni qui considerate - non a caso desunte dal dibattito dottrinale e giurisprudenziale che ferve sull'argomento - mostrano che, nel campo del diritto civile, rispetto ad uno schema generale di raccordo tra le tutele, rappresentato dalla soluzione offerta dell'art. 1453 c.c., soluzioni specifiche sono approntate in riferimento a rapporti, che vivono in un più complesso quadro organizzativo, e nei quali, siccome si considera prevalente l'esigenza di stabilità dello stato di fatto originato dall'atto, si tende a limitare nel tempo la sua invalidibilità, non escludendo la tutela risarcitoria.
Tecnica non ignota, ora, anche al diritto amministrativo (art. 246.4. del Codice dei contratti pubblici, il d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163).
12.5.2. - Appare dunque che la regolazione del rapporto, tra le forme di tutela che rendono possibile soddisfare l'interesse protetto e tutela risarcitoria dello stesso interesse, può essere attuata in modi diversi, che a loro volta riflettono da parte del legislatore la valutazione delle esigenze proprie di specifici tipi di rapporti, sicché a proposito di tale regolazione non si può affermare la necessità logica che riguardi nello stesso modo ogni concreta situazione di interesse riconducibile ad un medesimo schema tipico.
13.1. - Nelle ordinanze del 2006 le sezioni unite hanno osservato che è certo nella disponibilità del legislatore disciplinare la tutela delle situazioni soggettive assoggettando a termini di decadenza l'esercizio dell'azione, come si è visto quando ha assoggettato in campo societario al medesimo termine l'azione di impugnazione e quella di risarcimento spettante ai soci non legittimati all'esercizio della prima.
Ma si è anche osservato che una norma siffatta oggi manca.
13.2. - Si postula, però, che dall'art. 7, quarto comma, della legge TAR - quale è risultato dalle modificazioni, che vi sono state apportate, per il tramite dell'art. 35.4. del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, dall'art. 7 della l. 21 luglio 2000, n. 205 - si trae che il previo annullamento dell'atto impugnato costituisca presupposto del riconoscimento di un diritto al risarcimento.
Ciò, perché il risarcimento v'è detto eventuale ed è considerato quale oggetto di un diritto, che come specie rientra tra gli altri diritti patrimoniali consequenziali.
E perché, si potrebbe forse aggiungere, vi si dice che il tribunale conosce «di tutte le questioni relative al risarcimento del danno» e non - come in disposizioni dettate in tema di giurisdizione esclusiva - anche delle «controversie risarcitorie».
Se non che, se il significato da attribuire alla disposizione fosse questo, la replica sarebbe allora che la norma ha tratto alla tutela risarcitoria che completa quella di annullamento e non alla tutela risarcitoria autonoma, che è oggetto dì discussione.
13.3. - Che la tutela risarcitoria autonoma rientri tra quelle che secondo l'ordinamento pertengono all'interesse legittimo deriva dalla natura sostanziale di tale situazione giuridica soggettiva e, se corrisponde alle viste esigenze di effettività della tutela giurisdizionale degli interessi che ad erogarla sia il giudice amministrativo, non può poi dipendere da questo che la fruizione concreta di tale tutela sia condizionata da un presupposto che attiene invece alla tutela di annullamento.
La tutela giurisdizionale si dimensiona su quella sostanziale e non viceversa.
13.4. - Anche là dove regole di comportamento si traducono in regole di validità dell'atto, la circostanza che la parte che potrebbe avere interesse all'annullamento dell'atto non lo chieda non comporta che esso divenga valido o cessi di essere rilevante la contrarietà del comportamento alla sua regola.
Nel diritto civile, la parte non perde il diritto di far valere l'invalidità se l'altra pretende l'esecuzione del contratto (art. 1442, quarto comma, c.c.) e d'altro canto può sempre chiedere il risarcimento del danno derivato dal comportamento che l'altra ha tenuto nell'indurla a contrarre.
Nel diritto amministrativo, l'inoppugnabilità non si traduce in convalidazione del provvedimento illegittimo, di cui resta possibile l'annullamento dall'amministrazione che lo ha emesso.
E perciò se, per non esserne stata chiesta la sospensione, l'atto non perde efficacia e può continuare ad essere eseguito, il comportamento tenuto, prima nell'adottarlo e poi nell'eseguirlo, non perde i suoi tratti di comportamento illegittimo, fonte di responsabilità, per il fatto che dell'atto neppure sia stato poi chiesto l'annullamento.
Lo stesso vale a proposito del comportamento consistito nel mantenere l'atto o nel darvi esecuzione per essere mancata la domanda di annullamento, anche se il non averlo la parte chiesto può rilevare come comportamento che ha concorso a provocare il danno.
Pensare diversamente significa trasformare l'onere della parte di attivarsi nel proprio interesse per l'annullamento in un dovere della parte di collaborare con l'amministrazione a renderla edotta della illegittimità dei propri atti.
Passando poi dal piano del diritto sostanziale a quello del diritto processuale, la pregiudizialità dell'annullamento non può essere desunta sul piano sistematico da caratteristiche che si dicono intrinseche alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto giudice cui è commessa rispetto agli interessi legittimi la tutela demolitoria.
Dal fatto che il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione generale di legittimità, non abbia il potere di dichiarare il dovuto modo d'essere del rapporto, ma solo quello di accertare la illegittimità dell'atto ed annullarlo, sì che è all'amministrazione che torna a spettare di dover provvedere (peraltro nel rispetto dell'effetto conformativo della pronuncia di annullamento), non segue che non possa accertare la responsabilità derivante alla P.A. dall'esercizio illegittimo della funzione.
Oggetto della domanda di risarcimento del danno è il diritto a ad ottenerlo e su ciò si forma il giudicato, mentre l'accertamento sui singoli aspetti della situazione di fatto che genera la responsabilità sono accertati in via incidentale.
Quando si discute sul se spetti il diritto al risarcimento del danno, per pervenire a riconoscerlo, si deve accertare che la parte ha subito un danno per effetto della mancata realizzazione del suo interesse e questo a causa dell'esercizio illegittimo della funzione pubblica e dunque si esercita un potere che nulla ha a che vedere con quello di disapplicazione, che al contrario consiste nel tenere per non prodotti quegli effetti di un atto, che rilevano come presupposto della legittimità del provvedimento, esso oggetto della domanda di annullamento.
13.5. - La teoria della pregiudizialità affonda del resto la sua origine in presupposti che l'attuale stadio di evoluzione della tutela giurisdizionale degli interessi mostra non essere più riferibili all'intero spettro di questa.
Più indici normativi testimoniano della trasformazione in atto dello stesso giudizio sulla domanda di annullamento, da giudizio sul provvedimento in giudizio sul rapporto: ciò che è stato puntualmente messo in rilievo dalla dottrina, in riferimento all'impugnazione, con motivi aggiunti, dei provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all'oggetto del ricorso (art. 21, primo comma, legge TAR, modificato dall'art. 1 della l. 205 del 2000); al potere del giudice di negare l'annullamento dell'atto impugnato per vizi di violazione di norme sul procedimento, quando giudichi palese, per la natura vincolata del provvedimento, che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (art. 21-octies, comma 1, della l. 241 del 1990, introdotto dall'art. 21-bis della l. 11 febbraio 2005, n. 15); al potere del giudice amministrativo di conoscere della fondatezza dell'istanza nei casi di silenzio (art. 2, comma 5, della l. 241 del 1990, come modificato dalla l. 14 maggio 2005, n. 80 in sede di conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35.
13.6. - Non mancano poi i casi in cui l'annullamento non è in grado di procurare alcuna soddisfazione all'interesse protetto, perché era in giuoco il solo interesse del ricorrente ed è trascorso il tempo in cui avrebbe potuto esserlo: ed allora, per ammettere il ricorso, si è costretti a postulare un interesse all'annullamento, perché questo sarebbe il tramite necessario per accedere ad una pronuncia di condanna al risarcimento del danno.
Come non mancano i casi in cui il danno deriva non dall'atto, infine adottato in senso conforme all'interesse di chi lo ha richiesto, ma dal ritardo con cui è stato emesso.
14. - Si può dire in definitiva - nel solco delle ordinanze del 2006 - che la parte, titolare d'una situazione di interesse legittimo, se pretende che questa sia rimasta sacrificata da un esercizio illegittimo della funzione amministrativa, ha diritto di scegliere tra fare ricorso alla tutela risarcitoria anziché a quella demolitoria e che tra i presupposti di tale forma di tutela giurisdizionale davanti al giudice amministrativo non è quello che l'atto in cui la funzione si è concretata sia stato previamente annullato in sede giurisdizionale o amministrativa.
Il principio di diritto che ne discende e che le sezioni unite enunciano in applicazione dell'art. 363 c.p.c. è dunque questo: - "Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento".
15. - Le spese di questo grado del giudizio si prestano ad essere dichiarate interamente compensate in ragione dell'eguale negativo esito dei ricorsi proposti dalle due parti.
P.Q.M.
La Corte di cassazione, a sezioni unite, riuniti i ricorsi, rigetta l'incidentale e dichiara inammissibile il principale; pronuncia, ai sensi dell'art. 363 c.p.c., il seguente principio di diritto: - «Proposta al giudice amministrativo domanda risarcitoria autonoma, intesa alla condanna al risarcimento del danno prodotto dall'esercizio illegittimo della funzione amministrativa, è viziata da violazione di norme sulla giurisdizione ed è soggetta a cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione la decisione del giudice amministrativo che nega la tutela risarcitoria degli interessi legittimi sul presupposto che l'illegittimità dell'atto debba essere stata precedentemente richiesta e dichiarata in sede di annullamento»; compensa le spese del giudizio di cassazione.
Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 23 dicembre 2008, n. 30254
Libero Professionista, esercente la professione forense nel Foro di Brindisi, distretto Corte d'Appello di Lecce (Italy)- già Magistrato, abilitato innanzi alle Giurisdizioni Superiori (Corte di Cassazione, Corte Costituzionale)
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