Corte
di cassazione Sezione I civile Sentenza 29 ottobre 2002, n. 15231
"anche nel caso di più creditori, a firma disgiunta, ciascuno di essi è abilitato a chiedere l'adempimento dell'intera obbligazione, con
effetto liberatorio verso tutti i creditori, una volta che fosse
stato conseguito da uno solo di essi (articolo 1292 c.c.)."
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con
sentenza 25 giugno 1997 il tribunale di Ragusa condannò il Banco di
Sicilia a pagare a Pxxxx Angela la somma di lire 38.350.000, oltre
interessi, costituita per lire 18.350.000 dal saldo di un libretto di
deposito a risparmio e per lire 20.000.000 dall'importo di un buono
fruttifero, entrambi cointestati con firma separata alla Pxxxxo e a
Panebianco Antonina, quest'ultima deceduta il 9 maggio 1994.
Ritenne il tribunale che la banca depositaria non potesse rifiutare la liquidazione intera dei depositi cointestati con firma separata, in favore di uno soltanto per il caso di morte dell'altro, trattandosi di obbligazione solidale attiva, che sopravvive alla sopravvenuta incapacità di agire o alla morte di uno dei contitolari.
Propose appello la banca deducendo che la vigente legislazione e la normativa bancaria uniforme, in applicazione del principio che alla cointestazione inerisce un mandato reciproco che si estingue con la morte di uno dei cointestatari-mandanti, stabiliscono che in tale evenienza il pagamento dell'istituto bancario debba essere fatto solo per la metà delle somme e non per l'intero.
L'appellata resistette alla impugnazione, che la Corte di appello di Catania ha accolto, con sentenza 25 ottobre 1999, determinando in lire 19.175.000 oltre interessi l'obbligazione di pagamento della appellante.
Ha rilevato la corte di merito che, mentre la cointestazione determina una situazione di titolarità plurisoggettiva, regolata dalle norme che disciplinano la comunione di diritti reali sui beni, in forza delle quali nessun partecipante può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri, la separazione delle firme integra la facoltà di ciascun cointestatario del deposito di prelevare disgiuntamente, anche oltre i limiti delle rispettive quote, con l'obbligo corrispondente della banca di adempiere alla restituzione di quanto depositato, con effetto liberatorio nei confronti di tutti i cointestatari.
Tale regime permane però sino alla morte di uno di essi; non essendo, infatti, la solidarietà dal lato attivo mai presunta, in quanto richiede un titolo negoziale o legale, che la stabilisca - tant'è che in tema di contratti bancari solo per il conto corrente intestato a più persone l'articolo 1854 c.c. prevede la regola della solidarietà attiva e passiva per i saldi del conto - è principio generale che, in difetto di espressa previsione normativa, occorra una specifica fonte negoziale, tutte le volte che si voglia affermare la solidarietà.
Nella specie era mancata una specifica clausola che avesse tenuto conto non solo della "firma separata", ma dell'intero contesto convenzionale in cui essa fosse inserita, a nulla giovando il patto di esercizio disgiunto del potere di prelievo del deposito bancario accessorio della cointestazione. Posto, infatti, che in mancanza della clausola "a firma separata" o di quella "a firma congiunta" ciascun cointestatario del deposito potrebbe solo ritirare le somme corrispondenti alla propria quota, della quale è contitolare ai sensi dell'articolo 1101 c.c., la funzione della "firma separata" faculta i cointestatari, con effetto nei confronti della banca, partecipe dell'accordo, al prelievo disgiunto, anche oltre i limiti della quota, attraverso lo scambio reciproco della autorizzazione ad esercitare il diritto anche al di là di quei limiti, in deroga alla regola codicistica dell'articolo 1102 c.c.
Ne consegue che, corrispondendo la clausola "a firma separata" ad una pattuizione che ha ad oggetto la reciproca gestione di interessi propri della sfera giuridica di ciascun cointestatario, deve soggiacere alle regole generali dei negozi gestori, fra cui quello del mandato, che di tali negozi è la forma centrale, che sancisce la estinzione del negozio per la morte o sopravvenuta incapacità di agire di una delle parti.
Ha poi negato la corte di merito che possa trovare applicazione nella specie l'articolo 1723 c.c., secondo cui il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario non si estingue per la morte o la sopravvenuta incapacità del mandante; posto che la cointestazione a firma separata implica una pattuizione in cui l'attribuzione dell'esercizio disgiunto della facoltà di prelievo trova la sua ragione causale nella pari facoltà che ciascun cointestatario riceve dagli altri, ognuno assume la veste di mandante e mandatario in una inscindibile unità soggettiva funzionale, sicché la morte del mandatario estingue anche il mandato in rem propriam, per il venir meno della possibilità fisica di una esecuzione da parte del soggetto in cui il mandante ha riposto la sua fiducia, sia pure in una vicenda afferente ad un interesse comune.
Ha, infine, escluso il giudice di appello l'applicabilità degli articoli 1835, 1836, 2021, 1993 c.c., richiamati dalla appellata al pari delle norme bancarie uniformi e di quelle tributarie in tema di successione mortis causa, invece invocate dalla appellante.
Ha proposto ricorso per cassazione Pxxxxo Angela con due motivi; resiste con controricorso il Banco di Sicilia.
Ritenne il tribunale che la banca depositaria non potesse rifiutare la liquidazione intera dei depositi cointestati con firma separata, in favore di uno soltanto per il caso di morte dell'altro, trattandosi di obbligazione solidale attiva, che sopravvive alla sopravvenuta incapacità di agire o alla morte di uno dei contitolari.
Propose appello la banca deducendo che la vigente legislazione e la normativa bancaria uniforme, in applicazione del principio che alla cointestazione inerisce un mandato reciproco che si estingue con la morte di uno dei cointestatari-mandanti, stabiliscono che in tale evenienza il pagamento dell'istituto bancario debba essere fatto solo per la metà delle somme e non per l'intero.
L'appellata resistette alla impugnazione, che la Corte di appello di Catania ha accolto, con sentenza 25 ottobre 1999, determinando in lire 19.175.000 oltre interessi l'obbligazione di pagamento della appellante.
Ha rilevato la corte di merito che, mentre la cointestazione determina una situazione di titolarità plurisoggettiva, regolata dalle norme che disciplinano la comunione di diritti reali sui beni, in forza delle quali nessun partecipante può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri, la separazione delle firme integra la facoltà di ciascun cointestatario del deposito di prelevare disgiuntamente, anche oltre i limiti delle rispettive quote, con l'obbligo corrispondente della banca di adempiere alla restituzione di quanto depositato, con effetto liberatorio nei confronti di tutti i cointestatari.
Tale regime permane però sino alla morte di uno di essi; non essendo, infatti, la solidarietà dal lato attivo mai presunta, in quanto richiede un titolo negoziale o legale, che la stabilisca - tant'è che in tema di contratti bancari solo per il conto corrente intestato a più persone l'articolo 1854 c.c. prevede la regola della solidarietà attiva e passiva per i saldi del conto - è principio generale che, in difetto di espressa previsione normativa, occorra una specifica fonte negoziale, tutte le volte che si voglia affermare la solidarietà.
Nella specie era mancata una specifica clausola che avesse tenuto conto non solo della "firma separata", ma dell'intero contesto convenzionale in cui essa fosse inserita, a nulla giovando il patto di esercizio disgiunto del potere di prelievo del deposito bancario accessorio della cointestazione. Posto, infatti, che in mancanza della clausola "a firma separata" o di quella "a firma congiunta" ciascun cointestatario del deposito potrebbe solo ritirare le somme corrispondenti alla propria quota, della quale è contitolare ai sensi dell'articolo 1101 c.c., la funzione della "firma separata" faculta i cointestatari, con effetto nei confronti della banca, partecipe dell'accordo, al prelievo disgiunto, anche oltre i limiti della quota, attraverso lo scambio reciproco della autorizzazione ad esercitare il diritto anche al di là di quei limiti, in deroga alla regola codicistica dell'articolo 1102 c.c.
Ne consegue che, corrispondendo la clausola "a firma separata" ad una pattuizione che ha ad oggetto la reciproca gestione di interessi propri della sfera giuridica di ciascun cointestatario, deve soggiacere alle regole generali dei negozi gestori, fra cui quello del mandato, che di tali negozi è la forma centrale, che sancisce la estinzione del negozio per la morte o sopravvenuta incapacità di agire di una delle parti.
Ha poi negato la corte di merito che possa trovare applicazione nella specie l'articolo 1723 c.c., secondo cui il mandato conferito anche nell'interesse del mandatario non si estingue per la morte o la sopravvenuta incapacità del mandante; posto che la cointestazione a firma separata implica una pattuizione in cui l'attribuzione dell'esercizio disgiunto della facoltà di prelievo trova la sua ragione causale nella pari facoltà che ciascun cointestatario riceve dagli altri, ognuno assume la veste di mandante e mandatario in una inscindibile unità soggettiva funzionale, sicché la morte del mandatario estingue anche il mandato in rem propriam, per il venir meno della possibilità fisica di una esecuzione da parte del soggetto in cui il mandante ha riposto la sua fiducia, sia pure in una vicenda afferente ad un interesse comune.
Ha, infine, escluso il giudice di appello l'applicabilità degli articoli 1835, 1836, 2021, 1993 c.c., richiamati dalla appellata al pari delle norme bancarie uniformi e di quelle tributarie in tema di successione mortis causa, invece invocate dalla appellante.
Ha proposto ricorso per cassazione Pxxxxo Angela con due motivi; resiste con controricorso il Banco di Sicilia.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
Con
il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa
applicazione dell'articolo 345 c.p.c.
Premette che la corte territoriale sia andata ultra petita laddove ha rinvenuto in norme e principi generali di diritto comune il fondamento della sua statuizione, in luogo delle norme bancarie uniformi e di quelle tributarie in materia di successione mortis causa. La violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum avrebbe comportato la lesione del diritto di difesa della ricorrente, per non essere stata posta in condizione di argomentare su temi trattati dal giudice.
Con il secondo motivo è denunziata la violazione nonché la falsa applicazione degli articoli 1101, 1102, 1854 e 1723 c.c.; deduce la ricorrente che è fuori luogo il richiamo agli articoli 1101 e 1102 c.c., che regolano la comunione dei beni e non le obbligazioni. Semmai a dovere essere applicato sarebbe l'articolo 1298 II comma c.c. la cui presunzione di uguaglianza dei creditori in solido opera tra loro e non può essere fatta valere dal debitore che è liberato dalla obbligazione con l'adempimento nei confronti di uno dei creditori.
Contesta l'applicazione della disciplina del mandato, essendo mancante nella specie la sua causa tipica - il compimento di atti giuridici di una parte per conto dell'altra - la natura delle obbligazioni e la previsione del compenso, ed invoca le norme particolari dei contratti bancari (articoli 1834 e seguenti c.c.) osservando, con riguardo al deposito bancario a risparmio con libretto nominativo destinato a più persone, che, potendo le clausole essere modificate solo con il consenso di tutti i contraenti, la banca non incorre in responsabilità adempiendo nei confronti di uno per l'intero; come per il conto corrente cointestato.
Da tali norme e solo da esse avrebbe dovuto trarsi la disciplina da applicarsi analogicamente alla specie.
Non ha pregio il primo motivo, che, prospettando come denunzia di violazione dell'articolo 345 c.p.c., si è poi esplicitato con riferimento ad una supposta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato, con l'assunto che il Banco di Sicilia avrebbe fondato le sue doglianze avverso la sentenza di prime cure, invocando espressamente la prassi bancaria, siccome trasfusa nelle norme bancarie uniformi, e le disposizioni tributarie in materia di successioni mortis causa; mentre la corte etnea "si è sPxxxxta oltre i motivi di censura sottopostile dall'appellante ed ha finito per accogliere il gravame per ragioni sostanzialmente diverse da quelle sollecitate con l'appello, giustificando il suo operato officioso con un generico richiamando a norme e principi generali di diritto comune".
Va osservato a riguardo che, a fronte della doglianza mossa dalla banca appellante alla sentenza di primo grado, con cui aveva sostenuto il "contrasto di quella decisione con la vigente legislazione e con la normativa bancaria uniforme, che, ispirandosi al principio secondo cui alla cointestazione inerisce un mandato reciproco, che si estingue con la morte di uno dei cointestatori-mandanti, consentiva in tale evenienza il pagamento da parte dell'istituto depositario di metà soltanto delle dette somme, in ossequio anche alla normativa fiscale vigente" (foglio 4 della sentenza impugnata), la corte di merito è pervenuta alle conclusioni censurate, proprio sulla scorta dei generali principi codicistici e in particolare di quelle sui negozi gestori, fra cui il mandato, nei quali ha rinvenuto il potere del prelievo disgiunto, anche oltre i limiti della quota, per ciascuno dei cointestatari del liberato di deposito e del buono fruttifero.
Tanto giova a disattendere in punto di fatto il motivo del ricorso, che è peraltro infondato in diritto, dal momento che non viola il disposto dell'articolo 112 c.p.c., cui sostanzialmente si richiama la ricorrente, il giudice che, restando nell'ambito della causa pretendi e del petitum, sorregga la decisione con argomentazioni diverse da quelle addotte dalla parte (Cassazione 2572/99; 1940/98; 3100/97).
Fondato è, invece, il secondo motivo.
Contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, i quali avevano affermato che la cointestazione a firma separata obbligasse la banca - anche dopo la morte di uno dei cointestatari e in caso di opposizione da parte dei suoi eredi - alla intera liquidazione dei depositi, richiesta da uno degli aventi titolo, integrando la fattispecie una ipotesi di obbligazione solidale attiva, che sopravvive alla morte e alla sopravvenuta incapacità di agire del contitolare; la corte territoriale ha rilevato che la cointestazione dei depositi bancari esaminati esprimesse una situazione di titolarità plurisoggettiva che, in mancanza di diverse specifiche clausole pattizie, deve ritenersi regolata dalle norme che in via generale disciplinano la comunione della proprietà e degli altri diritti reali, alla cui stregua le quote dei partecipanti si presumono uguali e nessuno di essi può estendere il proprio diritto sulla cosa comune in danno degli altri.
La firma separata, invece, integra la facoltà di ciascun cointestatario del deposito di prelevare disgiuntamente dallo stesso, anche oltre i limiti delle rispettive quote di appartenenza delle somme depositate; facoltà cui fa riscontro l'obbligo della banca depositaria di adempiere alla restituzione totale o parziale delle somme depositate, in relazione al separato esercizio del diritto di prelievo effettuato da ciascun cointestatario; con efficacia liberatoria nei confronti di tutti.
Tale situazione, però, a giudizio della corte etnea, che pure ha considerato meritare la disciplina della solidarietà attiva, ai sensi dell'articolo 1292 c.c., non permane in quei termini in caso di decesso di uno dei cointestatari: essa, infatti, rileva che non si può "obliterare il dato di partenza, costituito dalla contitolarità del deposito espressa dalla cointestazione e correlata alla regola generale, secondo cui la solidarietà dal lato attivo non è mai presunta, ma richiede un titolo che la stabilisca, dove per titolo va intesa la fonte (negoziale o legale) della solidarietà stessa e non certo la sua semplice enunciazione"; principio "confermato proprio in materia di rapporti contrattuali bancari dall'articolo 1854 c.c., che, per il caso di conto corrente intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, pone espressamente la regola che gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto". Con l'effetto che siffatta regola, con la sua limitazione alle sole operazioni bancarie in conto corrente, mentre ribadisce la necessità di un autonomo titolo, quale fondamento della solidarietà, postula d'altro canto la ricerca di una specifica fonte negoziale, tutte le volte che si sostenga la solidarietà, pur in difetto di una espressa previsione normativa.
Pertanto, rileva la sentenza impugnata, se in mancanza del patto di esercizio disgiunto del potere di prelievo, la cointestazione avrebbe trovato nelle regole generali sulla comunione la disciplina legale, la funzione di quel patto sarebbe stata, invece, "di scambiarsi reciprocamente l'autorizzazione ad esercitare il diritto, anche oltre i limiti della titolarità pro quota di ciascuno".
Se, però, il contenuto di esso non può essere modificato da uno solo dei paciscenti, "non è men vero che, trattandosi di una pattuizione avente ad oggetto la reciproca gestione di interessi propri della sfera giuridica di ciascun cointestatario, deve soggiacere alle regole generali dei negozi gestori, fra cui quella - espressamente codificata - in tema di mandato, che della categoria è la figura negoziale centrale, nonché quella più compiutamente disciplinata, che sancisce la estinzione del negozio per la morte (o per la sopravvenuta incapacità di agire) di una delle parti".
E la morte, conclude la corte di merito, "producendo la estinzione della pattuizione contenuta nella clausola a firma separata, impedisce l'ulteriore esercizio del diritto da parte dei cointestatari superstiti, oltre i limiti della loro titolarità pro quota sulle somme depositate al momento del detto evento estintivo".
Tale tesi non può in alcun modo essere condivisa, né nella premessa, né nel passaggio argomentativo che ha portato alla conclusione impugnata.
È sicuramente condivisibile, trovando puntuale riscontro negli articoli 1292 e 1294 c.c., la affermazione che nelle obbligazioni la solidarietà dal lato attivo non si presume, necessitando di un titolo negoziale o dalla espressa previsione legale. Nella specie il titolo è appalesato dalla cointestazione dei depositi bancari, congiunta alla facoltà dei contitolari di operare disgiuntamente, in tutti i movimenti attivi e passivi, sino alla estinzione del rapporto; cointestazione che esprime il patto tra costoro e l'istituto di credito, intervenuto in unico contesto e che disciplinò il rapporto sin dal suo nascere, il quale si sviluppò, come nessuno contesta che sia avvenuto, attraverso comportamenti in linea con esso e cioè con prelievi e depositi sempre compiuti con firma disgiunta e liberamente, senza, cioè, corrispondenza con le quote di pertinenza di ciascuno.
Un titolo così concepito e in tal modo osservato era idoneo a realizzare e di fatto realizzò una obbligazione solidale attiva, abilitando più creditori a chiedere l'adempimento dell'intera obbligazione, con effetto liberatorio verso tutti i creditori, una volta che fosse stato conseguito da uno solo di essi (articolo 1292 c.c.).
Ciò posto, nessun effetto sulla natura della obbligazione e sulla disciplina che ne è derivata, sia, quanto al lato attivo, in termini di abilitazione alla riscossione integrale, sia, quanto al passivo, in termini di totale liberazione, è stata in grado di produrre la morte di uno dei cointeressati, nei riguardi dei suoi aventi causa e ancor meno nei confronti dell'istituto di credito, che, essendo stato obbligato per l'intero, verso chiunque dei contitolari, prima di quell'evento, nessuna ragione ha in seguito maturato per supporre che la sua obbligazione si sia modificata.
Fondata è, pertanto, la doglianza della ricorrente, circa la falsa applicazione degli articoli 1101, 1102 e 1723 c.c.; improprio appalesandosi il richiamo della sentenza impugnata alle norme sulla comunione dei diritti reali e sul mandato, compiuto per sorreggere la costruzione giuridica di una fattispecie complessa, che, movendo dalla comunione - in considerazione della cointestazione dei depositi bancari - sarebbe evoluta verso una ipotesi di obbligazione solidale, a cagione della previsione della firma separata, con l'ulteriore inserimento di un negozio giuridico, quale il mandato, che si è ritenuto di rinvenire nella funzione pratica che con la pattuizione si era inteso raggiungere, quella cioè "di scambiarsi reciprocamente l'autorizzazione ad esercitare il diritto anche oltre i limiti della titolarità della quota di ciascuno"; ma che le parti de plano avevano inteso conseguire, in dipendenza della solidarietà attiva che il rapporto obbligatorio con l'istituto di credito aveva configurato.
Né ha pregio l'argomento che nei rapporti contrattuali bancari solo nel conto corrente cointestato gli interessati sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto, posto che, se per quel rapporto il fondamento della solidarietà attiva è nella legge, per quello in esame titolo giustificativo è il negozio che, sorto con quel carattere, non fu né poteva essere influenzato dalla morte di uno dei cointestatari, proprio perché l'abilitazione a prevalere sino all'intero costoro non ricevevano da reciproche autorizzazioni, in funzione dell'interesse proprio di chi le concedeva o comune a quello dell'autorizzato, ma dalla natura della obbligazione, che consentiva la pienezza dei diritti derivati dal rapporto, in considerazione dell'interesse esclusivo del soggetto autore dell'operazione, al di fuori di rapporto gestori, che, al contrario, suppongono interessi altrui, in tutto o in parte.
La sentenza impugnata va pertanto cassata; e poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, rispetto a quelli compiuti dal giudice di merito, la causa può essere decisa, con la condanna del Banco di Sicilia al pagamento in favore di Pxxxxo Angela delle intere somme portate dal libretto di deposito e dal buono fruttifero, con gli interessi legali dal 9 novembre 1995, data della richiesta stragiudiziale formulata dalla ricorrente all'istituto di credito (foglio 15 della sentenza impugnata).
Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.
Premette che la corte territoriale sia andata ultra petita laddove ha rinvenuto in norme e principi generali di diritto comune il fondamento della sua statuizione, in luogo delle norme bancarie uniformi e di quelle tributarie in materia di successione mortis causa. La violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum avrebbe comportato la lesione del diritto di difesa della ricorrente, per non essere stata posta in condizione di argomentare su temi trattati dal giudice.
Con il secondo motivo è denunziata la violazione nonché la falsa applicazione degli articoli 1101, 1102, 1854 e 1723 c.c.; deduce la ricorrente che è fuori luogo il richiamo agli articoli 1101 e 1102 c.c., che regolano la comunione dei beni e non le obbligazioni. Semmai a dovere essere applicato sarebbe l'articolo 1298 II comma c.c. la cui presunzione di uguaglianza dei creditori in solido opera tra loro e non può essere fatta valere dal debitore che è liberato dalla obbligazione con l'adempimento nei confronti di uno dei creditori.
Contesta l'applicazione della disciplina del mandato, essendo mancante nella specie la sua causa tipica - il compimento di atti giuridici di una parte per conto dell'altra - la natura delle obbligazioni e la previsione del compenso, ed invoca le norme particolari dei contratti bancari (articoli 1834 e seguenti c.c.) osservando, con riguardo al deposito bancario a risparmio con libretto nominativo destinato a più persone, che, potendo le clausole essere modificate solo con il consenso di tutti i contraenti, la banca non incorre in responsabilità adempiendo nei confronti di uno per l'intero; come per il conto corrente cointestato.
Da tali norme e solo da esse avrebbe dovuto trarsi la disciplina da applicarsi analogicamente alla specie.
Non ha pregio il primo motivo, che, prospettando come denunzia di violazione dell'articolo 345 c.p.c., si è poi esplicitato con riferimento ad una supposta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato, con l'assunto che il Banco di Sicilia avrebbe fondato le sue doglianze avverso la sentenza di prime cure, invocando espressamente la prassi bancaria, siccome trasfusa nelle norme bancarie uniformi, e le disposizioni tributarie in materia di successioni mortis causa; mentre la corte etnea "si è sPxxxxta oltre i motivi di censura sottopostile dall'appellante ed ha finito per accogliere il gravame per ragioni sostanzialmente diverse da quelle sollecitate con l'appello, giustificando il suo operato officioso con un generico richiamando a norme e principi generali di diritto comune".
Va osservato a riguardo che, a fronte della doglianza mossa dalla banca appellante alla sentenza di primo grado, con cui aveva sostenuto il "contrasto di quella decisione con la vigente legislazione e con la normativa bancaria uniforme, che, ispirandosi al principio secondo cui alla cointestazione inerisce un mandato reciproco, che si estingue con la morte di uno dei cointestatori-mandanti, consentiva in tale evenienza il pagamento da parte dell'istituto depositario di metà soltanto delle dette somme, in ossequio anche alla normativa fiscale vigente" (foglio 4 della sentenza impugnata), la corte di merito è pervenuta alle conclusioni censurate, proprio sulla scorta dei generali principi codicistici e in particolare di quelle sui negozi gestori, fra cui il mandato, nei quali ha rinvenuto il potere del prelievo disgiunto, anche oltre i limiti della quota, per ciascuno dei cointestatari del liberato di deposito e del buono fruttifero.
Tanto giova a disattendere in punto di fatto il motivo del ricorso, che è peraltro infondato in diritto, dal momento che non viola il disposto dell'articolo 112 c.p.c., cui sostanzialmente si richiama la ricorrente, il giudice che, restando nell'ambito della causa pretendi e del petitum, sorregga la decisione con argomentazioni diverse da quelle addotte dalla parte (Cassazione 2572/99; 1940/98; 3100/97).
Fondato è, invece, il secondo motivo.
Contrariamente a quanto ritenuto dai primi giudici, i quali avevano affermato che la cointestazione a firma separata obbligasse la banca - anche dopo la morte di uno dei cointestatari e in caso di opposizione da parte dei suoi eredi - alla intera liquidazione dei depositi, richiesta da uno degli aventi titolo, integrando la fattispecie una ipotesi di obbligazione solidale attiva, che sopravvive alla morte e alla sopravvenuta incapacità di agire del contitolare; la corte territoriale ha rilevato che la cointestazione dei depositi bancari esaminati esprimesse una situazione di titolarità plurisoggettiva che, in mancanza di diverse specifiche clausole pattizie, deve ritenersi regolata dalle norme che in via generale disciplinano la comunione della proprietà e degli altri diritti reali, alla cui stregua le quote dei partecipanti si presumono uguali e nessuno di essi può estendere il proprio diritto sulla cosa comune in danno degli altri.
La firma separata, invece, integra la facoltà di ciascun cointestatario del deposito di prelevare disgiuntamente dallo stesso, anche oltre i limiti delle rispettive quote di appartenenza delle somme depositate; facoltà cui fa riscontro l'obbligo della banca depositaria di adempiere alla restituzione totale o parziale delle somme depositate, in relazione al separato esercizio del diritto di prelievo effettuato da ciascun cointestatario; con efficacia liberatoria nei confronti di tutti.
Tale situazione, però, a giudizio della corte etnea, che pure ha considerato meritare la disciplina della solidarietà attiva, ai sensi dell'articolo 1292 c.c., non permane in quei termini in caso di decesso di uno dei cointestatari: essa, infatti, rileva che non si può "obliterare il dato di partenza, costituito dalla contitolarità del deposito espressa dalla cointestazione e correlata alla regola generale, secondo cui la solidarietà dal lato attivo non è mai presunta, ma richiede un titolo che la stabilisca, dove per titolo va intesa la fonte (negoziale o legale) della solidarietà stessa e non certo la sua semplice enunciazione"; principio "confermato proprio in materia di rapporti contrattuali bancari dall'articolo 1854 c.c., che, per il caso di conto corrente intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, pone espressamente la regola che gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto". Con l'effetto che siffatta regola, con la sua limitazione alle sole operazioni bancarie in conto corrente, mentre ribadisce la necessità di un autonomo titolo, quale fondamento della solidarietà, postula d'altro canto la ricerca di una specifica fonte negoziale, tutte le volte che si sostenga la solidarietà, pur in difetto di una espressa previsione normativa.
Pertanto, rileva la sentenza impugnata, se in mancanza del patto di esercizio disgiunto del potere di prelievo, la cointestazione avrebbe trovato nelle regole generali sulla comunione la disciplina legale, la funzione di quel patto sarebbe stata, invece, "di scambiarsi reciprocamente l'autorizzazione ad esercitare il diritto, anche oltre i limiti della titolarità pro quota di ciascuno".
Se, però, il contenuto di esso non può essere modificato da uno solo dei paciscenti, "non è men vero che, trattandosi di una pattuizione avente ad oggetto la reciproca gestione di interessi propri della sfera giuridica di ciascun cointestatario, deve soggiacere alle regole generali dei negozi gestori, fra cui quella - espressamente codificata - in tema di mandato, che della categoria è la figura negoziale centrale, nonché quella più compiutamente disciplinata, che sancisce la estinzione del negozio per la morte (o per la sopravvenuta incapacità di agire) di una delle parti".
E la morte, conclude la corte di merito, "producendo la estinzione della pattuizione contenuta nella clausola a firma separata, impedisce l'ulteriore esercizio del diritto da parte dei cointestatari superstiti, oltre i limiti della loro titolarità pro quota sulle somme depositate al momento del detto evento estintivo".
Tale tesi non può in alcun modo essere condivisa, né nella premessa, né nel passaggio argomentativo che ha portato alla conclusione impugnata.
È sicuramente condivisibile, trovando puntuale riscontro negli articoli 1292 e 1294 c.c., la affermazione che nelle obbligazioni la solidarietà dal lato attivo non si presume, necessitando di un titolo negoziale o dalla espressa previsione legale. Nella specie il titolo è appalesato dalla cointestazione dei depositi bancari, congiunta alla facoltà dei contitolari di operare disgiuntamente, in tutti i movimenti attivi e passivi, sino alla estinzione del rapporto; cointestazione che esprime il patto tra costoro e l'istituto di credito, intervenuto in unico contesto e che disciplinò il rapporto sin dal suo nascere, il quale si sviluppò, come nessuno contesta che sia avvenuto, attraverso comportamenti in linea con esso e cioè con prelievi e depositi sempre compiuti con firma disgiunta e liberamente, senza, cioè, corrispondenza con le quote di pertinenza di ciascuno.
Un titolo così concepito e in tal modo osservato era idoneo a realizzare e di fatto realizzò una obbligazione solidale attiva, abilitando più creditori a chiedere l'adempimento dell'intera obbligazione, con effetto liberatorio verso tutti i creditori, una volta che fosse stato conseguito da uno solo di essi (articolo 1292 c.c.).
Ciò posto, nessun effetto sulla natura della obbligazione e sulla disciplina che ne è derivata, sia, quanto al lato attivo, in termini di abilitazione alla riscossione integrale, sia, quanto al passivo, in termini di totale liberazione, è stata in grado di produrre la morte di uno dei cointeressati, nei riguardi dei suoi aventi causa e ancor meno nei confronti dell'istituto di credito, che, essendo stato obbligato per l'intero, verso chiunque dei contitolari, prima di quell'evento, nessuna ragione ha in seguito maturato per supporre che la sua obbligazione si sia modificata.
Fondata è, pertanto, la doglianza della ricorrente, circa la falsa applicazione degli articoli 1101, 1102 e 1723 c.c.; improprio appalesandosi il richiamo della sentenza impugnata alle norme sulla comunione dei diritti reali e sul mandato, compiuto per sorreggere la costruzione giuridica di una fattispecie complessa, che, movendo dalla comunione - in considerazione della cointestazione dei depositi bancari - sarebbe evoluta verso una ipotesi di obbligazione solidale, a cagione della previsione della firma separata, con l'ulteriore inserimento di un negozio giuridico, quale il mandato, che si è ritenuto di rinvenire nella funzione pratica che con la pattuizione si era inteso raggiungere, quella cioè "di scambiarsi reciprocamente l'autorizzazione ad esercitare il diritto anche oltre i limiti della titolarità della quota di ciascuno"; ma che le parti de plano avevano inteso conseguire, in dipendenza della solidarietà attiva che il rapporto obbligatorio con l'istituto di credito aveva configurato.
Né ha pregio l'argomento che nei rapporti contrattuali bancari solo nel conto corrente cointestato gli interessati sono considerati creditori o debitori in solido dei saldi del conto, posto che, se per quel rapporto il fondamento della solidarietà attiva è nella legge, per quello in esame titolo giustificativo è il negozio che, sorto con quel carattere, non fu né poteva essere influenzato dalla morte di uno dei cointestatari, proprio perché l'abilitazione a prevalere sino all'intero costoro non ricevevano da reciproche autorizzazioni, in funzione dell'interesse proprio di chi le concedeva o comune a quello dell'autorizzato, ma dalla natura della obbligazione, che consentiva la pienezza dei diritti derivati dal rapporto, in considerazione dell'interesse esclusivo del soggetto autore dell'operazione, al di fuori di rapporto gestori, che, al contrario, suppongono interessi altrui, in tutto o in parte.
La sentenza impugnata va pertanto cassata; e poiché non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, rispetto a quelli compiuti dal giudice di merito, la causa può essere decisa, con la condanna del Banco di Sicilia al pagamento in favore di Pxxxxo Angela delle intere somme portate dal libretto di deposito e dal buono fruttifero, con gli interessi legali dal 9 novembre 1995, data della richiesta stragiudiziale formulata dalla ricorrente all'istituto di credito (foglio 15 della sentenza impugnata).
Ricorrono giusti motivi per la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
La
corte rigetta il primo motivo; accoglie il secondo; cassa la sentenza
impugnata e, provvedendo nel merito, condanna il Banco di Sicilia al
pagamento in favore di Pxxxxo Angela della intera somma portata dal
libretto di deposito e dal buono fruttifero, con gli interessi legali
dal 9 novembre 1995 al soddisfo; compensa le spese processuali.
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