"... la
giurisprudenza ha ritenuto che, una volta dichiarata la illegittimità
della capitalizzazione trimestrale degli interessi, questa non potrà
essere convertita in capitalizzazione annuale né in altra tipologia
di capitalizzazione composta (in tal senso Cass. sez. Un. 17.7.2001
n. 9653; conforme, ex multis, Corte di Appello di Torino sez. III n.
64 del 21.1.2002). La Cassazione (n.9653/200 1) ha precisato che gli
interessi scaduti, se fossero stati equiparati in toto ad una
qualsiasi obbligazione pecuniaria (credito liquido ed esigibile di
una somma di denaro), avrebbero automaticamente prodotto interessi di
pieno diritto, ai sensi dell’art. 1282 cod. civile (che stabilisce
per l’appunto che “i crediti liquidi ed esigibili di somme di
denaro producono interessi di pieno diritto”); al contrario tale
effetto è stato escluso dal successivo art. 1283 c.c. (dettato a
tutela del debitore ed applicabile per ogni specie d’interessi,
quindi anche per gli interessi moratori), alla stregua del quale, in
mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre
interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di
convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di
interessi dovuti almeno per sei mesi. («...la citata disposizione
(NDR l’art. 1283 c.c.) non comporta soltanto un limite al principio
generale di cui all’art. 1282 cod. civ., ma vale anche a rimarcare
la particolare natura che, nel quadro delle obbligazioni pecuniarie,
la legge attribuisce al debito per interessi, con la previsione di
una disciplina specialistica, che si pone come derogatoria rispetto a
quella generale in tema di danni nelle obbligazioni pecuniarie,
stabilita dall’art. 1224 cod. civile, e che proprio per il suo
carattere di specialità deve prevalere su quest’ultima norma. Se
così non fosse, del resto, l’art. 1224 verrebbe ad assorbire tutto
il campo applicativo dell’art. 1283, che resterebbe circoscritto ai
casi in cui il debito per interessi è quantificato all’atto della
proposizione della domanda. Ma una simile limitazione dell’ambito
applicativo del citato art. 1283 cod. civ. non emerge da tale norma e
viene anzi a porsi con essa in contrasto, perché trascura la
peculiare natura del debito per interessi sopra segnalata ed elude,
almeno in parte, la finalità di tutela per la posizione del debitore
che la norma ha previsto stabilendo in quali casi e con quali
presupposti gli interessi scaduti possono essere produttivi di altri
interessi»; conforme Cass. n. 2593/2003). Pertanto nella fattispecie
la problematica risulta anche ultronea atteso che non si rinviene nel
rapporto bancario in esame un accordo scritto (forma ab substantiam)
sul punto; né il giudice, come detto, ha il potere di operare
d’ufficio la sostituzione mediante inserzione automatica di
clausole che prevedano capitalizzazioni di diverse periodicità, che
nella specie equivarrebbe a “nuova” condizione mai prima pattuita
dalle parti.
Va infine
aggiunto che anche la questione in esame ha trovato soluzione nella
recente pronuncia delle Sezioni Unite suindicata (n. 24418/2010) la
quale ha avuto modo di precisare di condividere e recepire quella
«... giurisprudenza...ha escluso di poter ravvisare un uso normativo
atto a giustificare, nel settore bancario, una deroga ai limiti posti
all’anatocismo dall’art. 1283 c.c.: ma non perché abbia messo in
dubbio il reiterarsi nel tempo della consuetudine consistente nel
prevedere nei contratti di conto corrente bancari la capitalizzazione
trimestrale degli indicati interessi, bensì per difetto del
requisito della “normatività” di tale pratica. Sarebbe, di
conseguenza,
assolutamente
arbitrario trarne la conseguenza che, nel negare l’esistenza di usi
normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori,
quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o
esplicitamente) la presenza di usi normativi di capitalizzazione
annuale»"....
Tribunale
di Verbania
Sez.
distaccata di Domodossola
Sentenza
12 maggio 2011, n. 43
...omissis...
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Con citazione
3.3.2009 ritualmente notificata la XXXXXXX Commerciale s.a.s. di
XXXXXXX XXX & C. evocava in giudizio la XXXXXXX XXXXXXX chiedendo
al Tribunale che, previa declaratoria della illegittimità degli
addebiti effettuati dalla banca a valere sul conto corrente ordinario
n. 20068/1, poi rinumerato 200681-27. nel periodo che va dalla data
di apertura del rapporto del 26.10.1994 e sino alla estinzione
avvenuta il 25.3.2004 a titolo di anatocismo, interessi passivi
superiori alla misura legale, commissioni di massimo scoperto e spese
di tenuta conto (per comunicazione, chiusura periodica, produzione e
spedizione estratti conto) non dovuti (tali addebiti in conto
corrente) perché in parte illegittimi (gli interessi anatocistici e
le cms) e per altro verso perché mai validamente pattuiti per
iscritto (interessi passivi in misura superiore al tasso legale, CMS
e spese di tenuta conto) e previa riliquidazione del saldo finale del
rapporto, condannasse la banca alla ripetizione e pagamento in suo
favore di € 23.754,07=, o di quella diversa somma, maggiore o
inferiore, risultante all’esito della espletanda consulenza tecnica
di ufficio, costituente il saldo effettivo alla data di chiusura del
rapporto (25.3.2004). L’attrice esponeva, anche, di avere inviato
in data 16.10.2008, prima di iniziare la causa, due lettere
raccomandata a/r (doc. 114), alla filiale competente (quella di
XXXXXXX, subentrata alla filiale di via Binda a Domodossola nel
frattempo chiusa) e alla sede legale della banca, lamentando che nel
corso del rapporto regolato sul conto 20068/1 l’istituto di credito
aveva applicato commissioni di massimo scoperto, spese di tenuta
conto, interessi debitori superiori al tasso legale (c.d.
ultralegali) e interessi anatocistici non dovuti e comunque
illegittimi, chiedendo espressamente alla banca di riliquidare il
saldo finale di conto corrente e restituire quanto indebitamente
addebitato nonché chiedeva copia dei contratti sottoscritti (ex art.
119, comma 40 del Tub -D.LGS. 1.9.1993 n. 385-, che prescrive “il
cliente .. ha diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo
termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della
documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli
ultimi dieci anni”). La banca, però, non solo aveva espresso un
deciso diniego alla ripetizione del dovuto e al ricalcolo del saldo
(lettera 9.2.2009 -doc. 115-), ma pure si era rifiutata di
trasmettere la documentazione contrattuale. Sulla scorta ditali
assunti, qualificanti una condotta contrattuale da parte
dell’Istituto di
violazione dei
doveri di correttezza, trasparenza e completezza delle informazioni
riguardanti lo svolgimento del rapporto contrattuale, parte attrice
chiedeva, pertanto, l’ulteriore condanna della banca al pagamento
di € 3.144,00 (e cioè la somma corrisposta al commercilista Dott.
XXXX XXXXXXXXX per la redazione della perizia e del calcolo
dell’indebito dovuto -doc. 116-; fattura n. 2/2009 -doc. 118-).
A sostegno
della domanda l’attrice depositava, in occasione della sua
costituzione in giudizio, tutti gli estratti conto completi di conto
scalare e indicazione interessi (doc. 1-1 13), relativi al conto
corrente in oggetto, dalla data di apertura (26.10.1994) e sino alla
chiusura (25.3.2004), con la sola eccezione dell’estratto conto di
gennaio 2004, che era stato inutilmente chiesto all’istituto con la
citata raccomandata (doc. 114); nonché la perizia di parte (doc.
116), redatta dal dott. XXXX XXXXXXXXX di Verbania, che conteggiava
il saldo finale del conto corrente e determinava l’importo
indebitamente corrisposto alla banca a titolo di anatocismo,
interessi ultralegali, cms e costi non dovuti.
La banca
convenuta si costituiva ritualmente in giudizio, venti giorni prima
dell’udienza indicata, eccependo in via preliminare (a pag. 4 della
comparsa di costituzione) l’intervenuta prescrizione ordinaria
decennale della domanda e ciò con decorrenza da ciascun singolo
addebito in conto corrente, e deducendo, inoltre, la legittimità
della operata capitalizzazione trimestrale degli interessi (da pag. 8
a pag. 28 della comparsa citata), motivandola con l’assunto della
esistenza di un uso normativo che legittimava tale pratica in regime
di deroga al disposto dell’art. 1283 cc; la non ripetibilità degli
interessi comunque corrisposti dall’attrice trattandosi di
pagamenti effettuati spontaneamente e senza contestazioni da parte
del correntista; l’applicabilità nella ricostruzione del rapporto
bancario de quo dell’art. 1194 c.c., domandando che ogni pagamento
venisse imputato al soddisfo prima degli interessi e delle spese e
poi del capitale (pag. 30 e seg.). Infine la banca asseriva in ogni
caso la legittimità dei tassi di interesse applicati e così pure
delle cms e dei costi addebitati alla correntista, allegando alla
citazione un contratto di conto corrente datato 6.10. 1994 con
allegata scheda condizioni sottoscritto dal legale rappresentante
della correntista.
Esaurita la
fase introduttiva di cui all’art. 183 c.p.c., il G.I. disponeva
consulenza tecnica nominando la dott.ssa XXXXX XXXXXXXX.
Quindi,
depositato l’elaborato peritale, successivamente integrato da
appendice (del 22.3.2010) in risposta alle osservazioni delle parti,
veniva fissata udienza di precisazione delle conclusioni. All’udienza
del 26.5.2010 le parti rassegnavano le rispettive conclusioni ed il
G.L tratteneva la causa a decisione concedendo i termini di rito per
il deposito delle note difensive, trattenendo la causa in decisione.
MOTIVI
DELLA DECISIONE
La domanda è
fondata e quindi meritevole di accoglimento nei limiti come di
seguito spiegati.
1.
Sulla decorrenza del termine di prescrizione della domanda di
ripetizione di indebito oggettivo nei conti correnti bancari —dal
singolo addebito illegittimo sul conto corrente comunicato al cliente
-irrilevanza- dalla chiusura del conto corrente —fondatezza-
Preliminarmente
va detto che sulla trattazione delle singole questioni oggetto della
diatriba processuale questo giudice non intende dare sfogo ad inutili
trattazioni scolastiche che si risolvono in un mero parafrasare di
sentenze e passi argornentativi di parte motiva, chiarendo, invece,
sin da subito di unifonnarsi alla migliore giurisprudenza formatasi
in materia, cioè quella della Suprema Corte, assolutamente
convincente per la forza delle argomentazioni di diritto sostenute ed
affermate.
Quindi, il
richiamo sarà unicamente alle più recenti sentenze della Corte.
L’azione diretta a far dichiarare la nullità di clausole
contrattuali è imprescrittibile ex art. 1422 c.c. mentre quella
volta ad ottenere la ripetizione di quanto è stato indebitamente
versato è soggetta alla ordinaria prescrizione decennale di cui
all’art. 2946 c.c.. Quanto alla individuazione del dies a quo del
termine prescrizionale va richiamato, e fatta applicazione, del
principio da tempo elaborato ed affermato dalla Corte secondo cui lo
stesso va individuato in quello della della definitiva
chiusura del conto e ciò in forza dell’assunto che il
conto corrente bancario è contratto unitario che da luogo ad un
unico rapporto giuridico articolato in una pluralità di atti
esecutivi, sicché le singole operazioni determinano solo variazioni
quantitative dell’unico originario rapporto e solo con il saldo
finale si stabiliscono definitivamente i crediti ed i debiti tra le
parti («... i contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta
di più prestazioni, sono contratti unitari, che danno luogo ad un
unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di
atti esecutivi; perciò la serie successiva di versamenti, prelievi
ed accreditamenti non dà luogo a singoli rapporti (costitutivi od
estintivi), ma determina solo variazioni quantitative dell’unico
originario rapporto costituito tra banca e cliente -Cass. 30.4.1969
n. 1392, Cass 25. 7.1972 n. 2545”» (così Cass. n.226211 984; in
senso conforme Cass. n.5720/2004; n.10l27/2005; da ultimo Cass. sez~
Un. 02.12.2010, n.24418 che ha definitivamente chiarito che «l’azione
di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il
quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione
trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un
contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente,
è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre,
nell’ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione
ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in
conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati,
ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui
gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti,
nell’anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un
pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine
prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacché il pagamento
che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente
quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una
prestazione da
parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in
favore dell”accipiens”».
Nel caso di
specie, dunque, che si verte nell’ipotesi indicata dalla Corte di
pagamenti, o meglio versamenti in conto corrente con mera funzione
ripristinatoria della provvista, il dies a guo della prescrizione
decennale decorre dalla data di chiusura del conto: di talché,
essendo stato chiuso il rapporto di conto corrente il 25.3.2004, alla
data di notifica dell’atto di citazione, intervenuta il 13.3.2009,
e ancor meno dalla richiesta stragiudiziale effettuata con lettera
racc.ta a/r del 16.10.2008 (doc. 114), il termine decennale non era
decorso.
1.1
Sull’irrilevanza dell’art. 2, comma 61, del D.L. n.225 del
29.12.2010 (il c.d. maxiemendamento al decreto Mileproroghe),
convertito nella L. n.10 del 26.02.2011.
Il disegno di
Legge n. 2518, ovvero il c.d. maxiemendamento al decreto
Milleproroghe, trasfuso nel D.L. 29 dicembre 2010 n. 225, convertito
nella L.n.10/20l1, contiene, tra l’altro, una norma estremamente
criptica: l’art. 2, quinquies, comma 9, diventato art. 2, comma 61,
che recita: “In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto
corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che
la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in
conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In
ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati.
Alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto legge “.
Ritiene questo
giudice, condividendo la dottrina e giurisprudenza già elaborata
sulla questione (Avv. F. Greco, in “Il CASO.it , Sezione Il —
Dottrina, opinioni e interventi documento n. 232/2011 4 marzo 2011
Sezione II - Dottrina, opinioni e interventi 2” ; Corte Appello di
Ancona, ord. del 03.02.2011), che la norma non sia idonea ad avere
effetto nella prescrizione dell’indebito – nel significato della
prescrizione con dies a quo dal momento dell’annotazione sul conto
come invocato dalla Banca-, se ed in quanto della stessa se ne dia
una interpretazione conforme ai principi costituzionali e della
disciplina codicistica. Invero, la norma in questione, nella
letterale formulazione legislativa utilizzata, non riesce a
sovvertire i principi di diritto affermati in materia di conto
corrente bancario dalla citata sent. Cass. sez. Un., 02.12.2010,
n.24418.
Come detto
nella sentenza la Corte pone definitivamente una “pietra tombale”
sulla querelle del dies a quo della prescrizione, e sancisce che il
termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme
trattenute dalla banca indebitamente, a titolo di interessi su
un’apertura di credito in conto corrente, decorre dalla chiusura
definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà
luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una
pluralità di atti esecutivi, e perciò la serie successiva di
versamenti, prelievi ed accreditamenti non dà luogo a singoli
rapporti (costitutivi od estintivi), ma determina variazioni
quantitative dell’unico originario rapporto costituito tra banca e
cliente, con la conseguenza che solo con il conto finale si
stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti.
Dunque, il
termine prescrizionale inizia a decorrere soltanto dalla chiusura
definitiva del rapporto in quanto è solo in questo momento che si
produce definitivamente il saldo dei crediti e debiti tra le parti
(si abbandona definitivamente il punto di vista di una parte della
giurisprudenza di merito che aveva ritenuto che nei contratti di
durata ogni singola prestazione avesse una sua autonomia, sicché
ognuna di esse resterebbe soggetta alle regole comuni e, quindi,
anche a quelle sulla decorrenza della prescrizione). Infatti, spiega
sapientemente la Corte che durante lo svolgimento del rapporto, il
correntista effettua non solo prelevamenti ma anche versamenti, ma
questi ultimi possano essere considerati alla stregua di “pagamenti”
-tali da formare oggetto di ripetizione (ove risultino indebiti)-
solo se abbiano avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento
patrimoniale in favore della banca; e, ci si trova in situazioni di
questo tipo, le volte in cui si tratti di versamenti eseguiti su un
conto in passivo (o, come in simili situazioni si preferisce dire
“scoperto”) cui non accede alcuna apertura di credito, o essa sia
stata revocata, o quando i versamenti siano destinati a coprire un
passivo eccedente i limiti dell’accreditamento.
Diversamente,
osservano le Sezioni Unite, tutte le volte in cui i versamenti in
conto non superino il passivo ed in particolare il limite
dell’affidamento concesso al cliente si tratterà di atti
ripristinatori della provvista, della quale il correntista può
ancora continuare a godere, e non di pagamenti. In tali ipotesi,
quindi, il pagamento avviene solo con la chiusura del conto e non con
l’annotazione ne consegue, ex art. 2033 c.c., che solo al momento
della chiusura del conto sorge il diritto di ripetere ciò che si è
pagato e dunque da questo momento inizia a decorrere il termine
prescrizionale. Di talché deve propendersi per l’assoluta
irrilevanza giuridica della previsione contenuta nel mille proroghe
ai fini che interessano, dato che, presupposto della decorrenza del
termine prescrizionale, è il pagamento e non l’annotazione sul
conto. Ed invece, volendo attribuire un significato conforme ai
principi civilistici alla stessa “infelice” formulazione
legislativa, la ì prescrizione indicata va piuttosto riferita ad
altri e diversi diritti nascenti dall’annotazione sul conto - e
cioè diversi da quelli della ripetizione di un indebito pagamento-,
come ad es. concernenti rettifiche di irregolarità contabili (gli
errori di scritturazione o di calcolo, omissioni e duplicazioni, di
cui parla l’art. 1832 c.c.), non conosciute e/o non conoscibili dal
correntista nell’invio dell’estratto conto non impugnato nel
termine dei sei mesi.
2.
sulla illegittimità dell’anatocismo nei rapporti di conto
corrente.
La banca
convenuta assume la legittimità della capitalizzazione trimestrale
degli interessi passivi in ambito bancario e, comunque, la
irrepetibilità delle somme a tale titolo addebitate antecedentemente
al mutamento d’indirizzo interpretativo della Cassazione. In tema
di interessi anatocistici, l’art. 1283 c.c. prevede dei limiti ben
precisi per l’applicazione degli stessi, statuendo che “in
mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre
interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per l’effetto
di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti
di interessi dovuti per almeno sei mesi”. La nullità della
clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale delle poste
debitorie per violazione del divieto di anatocismo imposto dall’art.
1283 cc è
ormai pacifica nella giurisprudenza della Corte, a partire dal 1999
quando iniziò ad affermare che la clausola di capitalizzazione
trimestrale degli interessi passivi, per quanto radicata nella prassi
bancaria e contenuta nelle norme bancarie uniformi, corrisponde ad un
uso negoziale imposto al correntista, e non normativo, con
conseguente impossibilità di porsi quale fonte legittima di deroga
rispetto alla disciplina delineata dall’art. 1283 del c.c.
(indirizzo costantemente ribadito da Cass.
n. 3096/1999 ;
Cass. n. 12507/1999; Cass. n. 8442 e n.17338/2002; Sezioni Unite, n.
21095 del 4.11.2004; da ultimo Cass. sez. Un. 02.12.20 10, n.244l8).
In particolare
le Sezioni Unite hanno rigorosamente affermato che gli usi richiamati
dall’art. 1283 c.c. sono unicamente quelli c.d. normativi, di cui
agli artt. i e 8 delle preleggi, e non anche quelli c.d. negoziali,
di cui all’art. 1340 c.c.; che l’uso di annotare gli interessi
sui conti correnti con saldo debitore ad ogni trimestre (normalmente,
a marzo, giugno, settembre e dicembre di ogni annualità) è un uso
del secondo tipo, ovvero negoziale, e, pertanto, risulta inidoneo a
derogare al disposto dell’art. 1283 c.c.. Tale interpretazione ha
trovato conferma anche nel Giudice delle leggi (Corte Costituzionale
n. 425/00), che ha dichiarato costituzionalmente illegittima, per
violazione dell’art. 76 della Costituzione, la norma di salvezza
della validità e degli effetti delle clausole anatocistiche
stipulate in precedenza, le quali dunque restano disciplinate,
secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo,
dalla normativa anteriormente in vigore, alla stregua della quale
esse, basate su un uso negoziale, anziché su una norma
consuetudinaria, sono da considerare nulle, poiché stipulate in
violazione dell’art. 1283 c.c.. La nullità di dette clausole può
essere rilevata d’ufficio, in considerazione del potere- dovere del
giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell’azione
(così Cass. n. 10599/2005; conforme Cass. n.5067/2010).
2.1.
Sulla illegittimità dell’anatocismo nel rapporto de quo anche per
il periodo successivo al 22.4.2000.
Come sopra
esposto, le clausole di capitalizzazione degli interessi contenute
nei contratti bancari stipulati prima del 22/4/2000, qualunque sia la
periodicità, sono sempre nulle per violazione di norme imperative
(ari 1418 comma i e art. 1283 c.c.). Per quanto concerne il periodo
successivo al 22.4.2000, va invece osservato che la disposizione
transitoria di cui all’art. 7 della delibera
CICR 9/2/2000
- che consentiva la produzione di interessi sugli interessi con
l’osservanza della stessa periodicità a partire dal 10 luglio 2000
anche per i contratti gia in corso a condizione che la clausola fosse
approvata per iscritto dal cliente se peggiorativa del rapporto - non
può trovare alcuna applicazione sia perché l’interpretazione sul
punto offerta dalla maggioritaria giurisprudenza di merito ne afferma
la sua avvenuta abrogazione sull’assunto che, in seguito alla
sentenza n 425/2000 della Corte Costituzionale, essendo venuto meno
l’art 25 comma 3 del D Lgs 342/1999 che era il fondamento
legittimante l’art 7, esso, quale atto di normazione secondaria
attuativo di una norma non più esistente perché dichiarata
incostituzionale, ha perso ogni validità ed efficacia (in tal senso
Tribunale di Mondovi 17.2.2009; Tribunale Benevento 18.2.2008 n. 252;
Tribunale di Verbania Sezione distaccata di Domodossola sent. n.
17/2009; Tribunale di Torino 5.10.2007); ed in ogni caso, e cioè
quand’anche per ipotesi scolastica della stessa norma se ne facesse
applicazione, non va sottaciuto che a mente del comma 3° della norma
« Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un
peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono
essere approvate dalla clientela», mentre, nella specie, la banca
non ha fatto sottoscrivere la nuova condizione (peggiorativa) alla
XXXXXXX (né appare dubitabile che la “nuova condizione” di
anatocismo sia peggiorativa, in particolare rispetto ad una
situazione precedente in cui XXXXXXX non era tenuto a corrispondere
alcun interesse sugli interessi passivi, stante la illegittimità e
nullità degli addebiti in punto anatocismo praticati per “usi
negoziali” bancari).
3.
Sulla illegittimità della conversione della capitalizzazione
trimestrale degli interessi in altra tipologia di capitalizzazione,
come quella semestrale, o annuale.
Orbene, la
nullità della capitalizzazione trimestrale degli interessi,
applicata dalla banca nel corso del rapporto, deriva non già dal
tipo di cadenza temporale della capitalizzazione, ma dalla mancanza
delle condizioni di cui all’art. 1283 c.c. (domanda giudiziale,
convenzione posteriore alla loro scadenza e interessi dovuti per
almeno sei mesi), il cui disposto, a differenza di quello della norma
successiva in tema di interessi ultralegali, non è derogabile
neppure per iscritto. Infatti l’art. 1284 cc che, come è dato
leggere in rubrica, riguarda solo il saggio degli interessi, cioè
l’entità del tasso e la decorrenza degli interessi legali, non
deroga in alcun modo alla norma di cui all’art. 1283 cc, che è
l’unica che stabilisce le condizioni per la produzione degli
interessi sugli interessi e della quale è certa nel sistema la
natura imperativa, contrariamente all’ art. 1284 cc, la cui natura
dispositiva giustifica la derogabilità del tasso con la pattuizione
di interessi convenzionali (con forma scritta, ad substantiam). Sulla
scorta ditali enunciati la giurisprudenza ha ritenuto che, una volta
dichiarata la illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli
interessi, questa non potrà essere convertita in capitalizzazione
annuale né in altra tipologia di capitalizzazione composta (in tal
senso Cass. sez. Un. 17.7.2001 n. 9653; conforme, ex multis, Corte di
Appello di Torino sez. III n. 64 del 21.1.2002). La Cassazione
(n.9653/200 1) ha precisato che gli interessi scaduti, se fossero
stati equiparati in toto ad una qualsiasi obbligazione pecuniaria
(credito liquido ed esigibile di una somma di denaro), avrebbero
automaticamente prodotto interessi di pieno diritto, ai sensi
dell’art. 1282 cod. civile (che stabilisce per l’appunto che “i
crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi
di pieno diritto”); al contrario tale effetto è stato escluso dal
successivo art. 1283 c.c. (dettato a tutela del debitore ed
applicabile per ogni specie d’interessi, quindi anche per gli
interessi moratori), alla stregua del quale, in mancanza di usi
contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal
giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione
posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi
dovuti almeno per sei mesi. («...la citata disposizione (NDR l’art.
1283 c.c.) non comporta soltanto un limite al principio generale di
cui all’art. 1282 cod. civ., ma vale anche a rimarcare la
particolare natura che, nel quadro delle obbligazioni pecuniarie, la
legge attribuisce al debito per interessi, con la previsione di una
disciplina specialistica, che si pone come derogatoria rispetto a
quella generale in tema di danni nelle obbligazioni pecuniarie,
stabilita dall’art. 1224 cod. civile, e che proprio per il suo
carattere di specialità deve prevalere su quest’ultima norma. Se
così non fosse, del resto, l’art. 1224 verrebbe ad assorbire tutto
il campo applicativo dell’art. 1283, che resterebbe circoscritto ai
casi in cui il debito per interessi è quantificato all’atto della
proposizione della domanda. Ma una simile limitazione dell’ambito
applicativo del citato art. 1283 cod. civ. non emerge da tale norma e
viene anzi a porsi con essa in contrasto, perché trascura la
peculiare natura del debito per interessi sopra segnalata ed elude,
almeno in parte, la finalità di tutela per la posizione del debitore
che la norma ha previsto stabilendo in quali casi e con quali
presupposti gli interessi scaduti possono essere produttivi di altri
interessi»; conforme Cass. n. 2593/2003). Pertanto nella fattispecie
la problematica risulta anche ultronea atteso che non si rinviene nel
rapporto bancario in esame un accordo scritto (forma ab substantiam)
sul punto; né il giudice, come detto, ha il potere di operare
d’ufficio la sostituzione mediante inserzione automatica di
clausole che prevedano capitalizzazioni di diverse periodicità, che
nella specie equivarrebbe a “nuova” condizione mai prima pattuita
dalle parti.
Va infine
aggiunto che anche la questione in esame ha trovato soluzione nella
recente pronuncia delle Sezioni Unite suindicata (n. 24418/2010) la
quale ha avuto modo di precisare di condividere e recepire quella
«... giurisprudenza...ha escluso di poter ravvisare un uso normativo
atto a giustificare, nel settore bancario, una deroga ai limiti posti
all’anatocismo dall’art. 1283 c.c.: ma non perché abbia messo in
dubbio il reiterarsi nel tempo della consuetudine consistente nel
prevedere nei contratti di conto corrente bancari la capitalizzazione
trimestrale degli indicati interessi, bensì per difetto del
requisito della “normatività” di tale pratica. Sarebbe, di
conseguenza,
assolutamente
arbitrario trarne la conseguenza che, nel negare l’esistenza di usi
normativi di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori,
quella medesima giurisprudenza avrebbe riconosciuto (implicitamente o
esplicitamente) la presenza di usi normativi di capitalizzazione
annuale».
4.
Sulla applicabilità del criterio di imputazione dei pagamenti ex
art. 1194 c.c. nel rapporto di conto corrente bancario —esclusione-.
La convenuta
ha altresì invocato l’applicazione dell’art. 1194 c,c.,
meccanismo che, prescrivendo l’imputazione dei pagamenti/rimesse
del correntista prima agli interessi via via maturati nel periodo di
riferimento, e poi al capitale, non potrebbero aumentare il debito
capitale, o lo farebbero in misura minore, sì da annullare di fatto
il fenomeno dell’anatocismo.
L’assunto
interpretativo non è condivisibile. Anzitutto, nel caso di specie
non risulta che la Banca convenuta abbia mai fatto applicazione del
criterio di imputazione che oggi invoca pur in difetto di
qualsivoglia pattuizione contrattuale, avendo invece sempre
utilizzato i versamenti del correntista per reintegrare la
disponibilità del medesimo e non per ridurre il proprio credito per
interessi Quindi, va osservato che tale criterio di imputazione dei
pagamenti non può trovare applicazione nella ricostruzione del
rapporto bancario, essendo che per imputare a pagamento una
determinata somma di denaro occorre che il credito sia liquido ed
esigibile e quindi occorre che il creditore abbia la disponibilità
del credito. Tali elementi (liguidità e disponibilità) difettano
(per la banca) nell’ambito di un rapporto di conto corrente
bancario, ancor più se connesso ad una apertura di credito come
nella fattispecie. Infatti la banca ha la disponibilità del suo
credito e, dunque, ha la liquidità ed esigibilità dello stesso solo
quando revoca la linea di credito e chiede il rientro (che nella
fattispecie non è mai stato domandato); prima di allora la banca non
può pretendere alcun pagamento essendo solo cliente beneficiano
della disponibilità delle somme versate (o concesse dalla banca).
Tale orientamento è stato fatto proprio dalla giurisprudenza di
merito maggioritaria (Tribunale di Benevento, sentenza n. 252 del
18.2.2008; Tribunale di Pescara, del 4.4.2005;
ed anche
sentenze Tribunale di Verbania allegate dalla difesa), e costituisce
corollario della sentenza Cass. sez. Un. 02.12.2010, n.2441 8 che ha
chiarito, appunto, che «...nell’ipotesi in cui i versamenti
abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista (...)
ciascun versamento non configura un pagamento (...), giacchè il
pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è
esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una
prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento
patrimoniale in favore dell”accipiens”». Dunque, la fattispecie
dell’art. 1194 c.c. non è applicabile poiché nel corso del
rapporto non si ha un pagamento in senso tecnico degli interessi e
del capitale, e cioè non vi è un debitore che imputi un pagamento,
ma vi è un correntista che effettua un versamento ottenendo una mera
registrazione a credito sul conto priva di effetti di imputazione di
pagamento per interessi e competenze eventualmente maturati.
6.
Sulla applicabiità di cims e spese di operazioni bancarie non
concordate-esclusione-.
Orbene, la
banca nel corso del giudizio ha prodotto copia del contratto
sottoscritto datato 6.10.1994 (doc. 8 controparte), che regolamentava
le spese di tenuta conto e i tassi di interesse. In considerazione di
tale produzione l’attrice ha conseguentemente precisato le
conclusioni chiedendo la ripetizione di quanto indebitamente pagato
solo a titolo di interessi anatocistici e cms (senza più chiedere le
spese di tenuta conto e gli interessi ultralegali).
-Sulle
CMS applicate dalla banca.
Nel caso in
esame, in base alla pattuizione contrattuale in atti (scheda allegata
al contratto 6.10.2004: viene indicata l’aliquota dello 0,125% per
giorni non consecutivi superiori a 3, applicata sia all’apertura di
credito, che allo scoperto di conto), va condiviso l’assunto
interpretativo di parte attrice, secondo cui la relativa pattuizione
è indeterminata e indeterminabile, con conseguente nullità ex art.
1418. 1325, 1346 e 1284 del cc.
Infatti, anche
volendo sottacere la giurisprudenza e dottrina maggioritaria che
affermano la nullità di siffatte clausole in quanto prive di causa,
sull’argomentazione che il servizio reso dall’istituto di credito
con l’apertura di credito trova già sufficiente ed adeguata
remunerazione nella pattuizione degli interessi che per volonta del
legislatore sono la tipica remunerazione per le prestazioni
consistenti nel prestito di denaro (cosi anche Tribunale di Verbania,
Sezione distaccata di Domodossola sent. 17/2009; cfr. Cass. 6 8 2002
n 11772, si legge in sent. Tribunale Milano 4 7 2002 « il supposto
rapporto obbligatorio o patto contrattuale deve ritenersi nullo per
totale mancanza di una causa giustificatrice poiché la remunerazione
della utilizzazione della somma messa a disposizione dalla banca
consiste negli interessi corrispettivi e tali interessi dovranno
essere calcolati, nella misura a titolo convenuto, sulla somma
concretamentè utilizzata e per tutto il periodo di tempo in cui la
somma è stata utilizzata»), nondimeno appare difficilmente
superabile l’ovvia obiezione che nel caso della scrittura prodotta
dalla banca (scheda allegata al contratto 6.10.1994, doc. n. 8 ex
adverso prodotto), la quale riporta unicamente la dicitura “aliquota
0,125”, omettendo invece ogni indicazione sul criterio/modalità in
concreto applicato per il calcolo della cms, risulti del tutto
indeterminato tale ulteriore onere di spesa, con conseguente aggravio
illegittimo degli interessi anatocistici -come evidente per la cms
prevista sullo scoperto di conto- (non è dato comprendere se la cms
è calcolata sull’intera somma messa a disposizione del correntista
—importo del fido-, ovvero sulla somma rimasta disponibile in un
dato. momento; né può farsi riferimento alla prassi bancaria, sul
punto non uniforme: talvolta gli istituti calcolano detto costo sulla
somma eccedente il limite di fido al netto dello stesso; altre volte
sulla massima esposizione debitoria del trimestre; ed altre ancora
sulla esposizione media rapportata al trimestre o
semestre/annualità).
E, dunque, la
stessa disposizione risulta affetta da nullità per
indeterminatezza/indetenninabilità ex art. 1418 e 1346 cc.
Acclarata la
nullità di tale clausola ne consegue che le somme corrisposte
dall’attrice durante il rapporto sono prive di causa e quindi,
costituiscono indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., nella specifica
ipotesi di “conditio ob causamfinitam” (cfr. Cass. 1.7.2005 n.
14084).
7.
Sulla approvazione tacita delle risultanze del conto per mancata
contestazione —irrilevanza-
Né, infine,
riveste pregio giuridico la tesi della convenuta volta ad attribuire
rilevanza alla mancata contestazione degli addebiti (illegittimi),
essendo oltremodo pacifico, anche nella giurisprudenza della Corte,
che il correntista può contestare la validità e l’efficacia dei
rapporti obbligatori da cui scaturiscono le partite inserite nel
conto corrente anche in assenza di impugnazione dello stesso nel
termine semestrale previsto, la quale invece rende solo
incontestabili le “annotazioni” del conto ex art. 1832 c.c. (in
tal senso, ex multis, da ultimo cfr. Cass. n.5067/2010; in senso
conforme Cass. 5.12.2003 n. 18626, Cass. 26.7.2001 n. 10186, Cass.
nn. 10129 e 6548/2001; Cass. n.4846/l998).
8.
Valutazione delle risultanze peritali.
La CTU
dott.ssa B.XXXXXXXX, nella ricostruzione dei rapporti di conto
corrente, ha conteggiato le somme indebitamente versate dall’attrice
alla convenuta giungendo a determinare sei ipotesi di indebito.
Orbene,
essendo incontestati i criteri tecnico-contabili adottati dal CTU;
fatta invece
applicazione degli indicati principi giuridici, va osservato che:
-i conteggi n.
i e n. 2 (indicati a pag. 9 della perizia 24.2.2010) non possono
prendersi in considerazione poiché il CTU ha proceduto a riportare
gli interessi al tasso legale, ignorando la pattuizione scritta
prodotta dalla banca (doc. 8: che prevede, per l’appunto, con
clausola redatta per iscritto, i tassi di interesse e le spese di
tenuta conto);
-allo stesso
modo non corretti i conteggi 3 e 4 (indicati a pag 10 della
relazione 24 2
2010) in quanto il CTU ha calcolato i tassi di interresse debitori
con le percentuali fisse indicate dalla banca nella scrittura 6 10
1994 (11,5% sull’apertura di credito e 18,5% per lo scoperto extra
fido), cosi finendo per disapplicare variazioni dei tassi più
favorevoli applicati al cliente in taluni periodi di diminuzioni del
costo del denaro (il contratto prodotto prevede, al punto 16,
conformemente a quanto stabilito dall’art. 118 del D.LGs 10.9.1993
n. 385 —Tub-, la facoltà per l’istituto di modificare le
condizioni economiche applicate al rapporto regolato in conto
corrente; fatto salvo che in caso di variazione in senso sfavorevole
al correntista vanno rispettate le modalità previste dalla legge, e
cioè la comunicazione scritta al cliente come prescritta appunto
dall’art. 118/1 Tub). Quindi, come giustamente osservato dalla
difesa attorea, e recepito dal CTU, il conteggio corretto e puntuale
era quello di calcolare gli interessi debitori secondo i tassi (più
favorevoli) applicati di volta in volta dalla banca, con il limite
massimo della misura prevista in contratto; tuttavia, le
problematiche di conteggio determinate dal fatto che la banca
utilizzava contemporaneamente più tassi bancari che variavano in
base alle diverse topologie di credito (vd. pag. 2 “Risposta alle
osservazioni”), ha condotto il CTU, con criterio condivisibile, ad
operare la ricostruzione calcolando i tassi medi ponderati.
Recepite tali
ultime osservazioni dal CTU nel ricalcolo denominato CONTEGGIO 3 BIS
(pag. 4 della relazione 17.3.2010). appunto tale conteggio risulta
essere quello corretto, in quanto rispettoso del principio della
decorrenza della prescrizione dalla chiusura del conto —al
contrario del conteggio “4 bis” basato sulla c.d. “prescrizione
breve”-; il conto è stato epurato da interessi anatocistici e cms
; sono stati applicati i tassi passivi di interessi effettivamente
praticati dall’Istituto (nel massimo, quello concordato per
iscritto), calcolati con il criterio della media ponderata; come pure
sono stati ricompresi nel ricalcalo anche gli interessi creditori
sugli eventuali saldi attivi, atteso che, con normativa derogabile
solo per iscritto, il legislatore ha stabilito che nella eventualità
che non vi sia alcuna regolazione scritta degli interessi del
rapporto di conto corrente, e dunque in caso di inosservanza del
comma 4 dell’art. 117 del D.LGS 1.9.1993 n. 385, automaticamente
“si applicano il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni
ordinari del tesoro annuali … rispettivamente per le operazioni
attive e per quelle passive” (art. 117 Tub indicato). Dunque,
correttamente il Ctu ha provveduto ad applicare gli interessi attivi
sui saldi riliquidati conformemente ai tassi previsti dal contratto
6.10.1994.
Pertanto,
recepito tale conteggio, la Banca convenuta va condannata al
pagamento di € 16.948,67, oltre agli interessi legali, decorrenti
dalla data della domanda (notifica intervenuta il giorno 13.3.2009) e
sino al saldo effettivo.
8.
Sul risarcimento e sulle spese legali.
L’attrice ha
infine domandato la condanna della banca al pagamento delle spese per
la consulenza tecnica di parte, pari ad € 3.144,00 (corrisposti al
commercialista Dott. I. XXXXXXXXX per la redazione della perizia,
come provato per iscritto dalla fattura n. 2/2009 -doc. il 8-),
evidenziando che se l’istituto di credito non avesse espresso il
diniego alla ripetizione del dovuto e alla riliquidazione del saldo
finale, rendendosi di fatto inadempiente l’attrice avrebbe potuto
evitare la spesa di una consulenza tecnica di parte.
Tale assunto
non è condivisibile. Invero, quand’anche si possa ritenere non
improntata alla massima trasparenza, lealtà e correttezza, il
comportamento della banca, la quale si è determinata a produrre la
documentazione bancaria di interesse solo in sede di giudizio, mentre
ha dolosamente violato, nel corso del rapporto contrattuale ed a
chiusura di esso, gli obblighi, generici di correttezza e buona fede,
e specifici di trasparenza bancaria, che su di essa gravavano;
ebbene, le spese per la perizia di cui l’attrice chiede
risarcimento non rappresentano affatto conseguenza “immediata e
diretta”, ai sensi dell’art. 1223 c.c., della violazione degli
indicati obblighi di correttezza e buona fede (art. 1175 c.c.) da
parte della banca, bensì esborso necessario alla parte attrice per
allegare e provare la domanda svolta in giudizio. Né può dirsi che
le stesse spese di perizia furono direttamente causate dal silenzio
ed inerzia della banca convenuta sulla pretesa del correntista di
avere un diverso conteggio del saldo di conto corrente, atteso che
il. diniego Opposto dall’istituto non era affatto del
tutto
pretestuoso, ma trovava comunque fondamento nella contrapposta
pretesa giuridica di avvalersi di un diritto, quello della
prescrizione, che aveva un suo fondamento anche in parte della
giurisprudenza di merito (applicando tale criterio il credito di
rimborso del correntista sarebbe stato di circa € 1.500: vd.
risultanze conteggio n.4 del CTU).
Ciò chiarito,
quelle spese tecniche sostenute da parte attrice rientrano, invece,
più semplicemente nelle spese legali, e quindi vanno liquidate
secondo i criteri di queste, ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.p. (in
tal senso anche la pronuncia della Corte citata dalla difesa attorea,
Cass. n.6056/l990).
Dunque, in
punto spese di lite, considerato che la questione della prescrizione
eccepita dalla Banca convenuta, assolutamente determinante nella
liquidazione del quantum dovuto, nelle more del processo trovava un
qualche conforto in parte della giurisprudenza di merito, ricorrono i
giusti motivi dell’art. 92/2 c.p.c. per una loro compensazione
nella misura di 1/2, mentre il residuo delle spese legali sostenute
da parte attrice —comprese come detto le spese di ctp- segue il
Principio della soccombenza e va posto a carico della convenuta.
P.Q.M.
Il
Tribunale definitivamente pronunciando ogni diversa istanza ed
eccezione disattesa, così provvede:
-accoglie
la domanda e per l’effetto, ricalcolato il saldo del conto corrente
ordinario n. 20068/I, in seguito rinumerato 200681-27, intercorrente
tra la XXXXXXX Commerciale s.a.s di XXXXXXX XXX & C e XXXXXXX
XXXXXXX spa, nel periodo che va dalla data di apertura del rapporto
del 26.10.1994 e Sino alla estinzione avvenuta il 25.3.2004,
eliminando la capitalizzazione periodica degli interessi passivi -
applicati i tassi a debito in quelli effettivamente praticati al
cliente dalla banca, e calcolati con il criterio della media
ponderata con il limite massimo convenuto tra le parti- ed il costo
delle commissioni di massimo scoperto:
dichiara
tenuta e condanna la convenuta XXXXXXX XXXXXXX s.p.a., in persona del
legale rappresentante pro tempore, alla restituzione in favore della
“XXXXXXX Commerciale s.a.s. di XXXXXXX XXX & C.” della somma
di € 16.94867=, oltre agli interessi legali, decorrentj dalla data
della domanda (notifica intervenuta il giorno 13.3.2009) e sino al
saldo effettivo:
-dichiara
compensate tra le parti 1/2 delle spese legali, e condanna la società
convenuta alla rifusione del residuo di spese legali sostenute dalla
parte attrice, liquidate nella somma di € 4.000,00 per diritti,
onorari —già comprensiva di ½ di spese di perizia-, oltre
rimborsi forf., CPA ed IVA come per legge;
spese
di CTU integralmente a carico della convenuta.
Sentenza
trattenuta il 30.09.20 10.
Il
Giudice
Dott. Vinicio Cantarini
Depositata in
cancelleria il 12.05.2011.