mercoledì 23 giugno 2010

verbali dei funzionari ispettivi, valore probatorio a querela di falso solo per fatti avvenuti accertati de visu

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZ LAVORO Sentenza 26 gennaio - 8 aprile 2010, n. 8335

" per consolidata giurisprudenza di legittimità i verbali redatti dal funzionario dell’istituto previdenziale o dall’ispettorato del lavoro fanno prova fino a querela di falso dei fatti che il funzionario attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, mentre per le circostanze che l’ispettore dichiari di aver appreso “de relato” o in conseguenza di acquisizione di documenti il relativo materiale è liberamente valutato dal giudice che può anche considerarlo prova sufficiente dei fatti riportati nel verbale ove in esito all’esame dei riscontri probatori emersi nell’istruttoria pervenga al convincimento dell’effettiva sussistenza degli addebiti mossi dall’istituto previdenziale (cfr. Cass. 6 settembre 1995 n. 9384; Cass. 14 agosto 1999 n. 8659)."




SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Sentenza 26 gennaio - 8 aprile 2010, n. 8335

(Presidente Vidiri - Relatore Stile)

Svolgimento del processo

A seguito del fallimento, dichiarato dal Tribunale di Lucca, della Linea Verde 2 Srl, l’INPS proponeva istanza di ammissione, allo stato passivo del fallimento stesso, di un proprio credito contributivo.

La domanda veniva rigettata dal giudice delegato nella parte in cui essa si riferiva all’importo di L. 32.316.293 in privilegio e di L. 9.248.293 in chirografo sul presupposto che si trattasse di “richiesta relativa a dm per mesi marzo/aprile [1999] che risultano pagati”.

Con atto di opposizione allo stato passivo, l’INPS si doleva della mancata ammissione de qua, facendo presente che, in realtà, gli importi di cui ai modelli dm in parola pagati, riguardavano i dipendenti ufficiali della Linea Verde 2 Srl, mentre l’istanza che era stata rigettata si riferiva a 24 lavoratori non regolarmente inquadrati; era, in particolare, emerso, a seguito di un’ispezione, che 18 dipendenti della Linea Verde 2 Srl erano stati formalmente assunti, il 1° gennaio 1999, con passaggio diretto dalla Linea Verde 2 alla Olga Srl; tale ultima Società aveva la stessa compagine sociale rispetto alla Linea Verde 2 Srl, lo stesso amministratore, lo stesso tipo di produzione (scarpe); la stessa sede produttiva; le attrezzature presenti nei locali comuni risultavano di proprietà della Linea Verde 2 Srl ed anche i contratti per la fornitura di luce e acqua erano intestati alla Linea Verde 2 Srl; in sostanza i lavoratori in questione avevano continuato ad essere addetti al ciclo produttivo della Linea Verde 2 Srl e non risultava ricorrere alcun rapporto sottostante che potesse economicamente giustificare il passaggio diretto dei dipendenti all’altra Società; anche gli altri 6 lavoratori, formalmente dipendenti della Olga (da questa, direttamente, assunti), avevano, in realtà, fornito le loro energie lavorative alla Linea Verde 2 Srl; si era trattato, dunque, di una chiara violazione del divieto di interposizione, stabilito dalla L. n. 1369 del 1960, e dunque anche la Linea Verde 2 Srl doveva rispondere dell’obbligazione contributiva.

L’INPS concludeva, quindi, per l’ammissione al passivo del credito de quo e, in via istruttoria, per l’escussione testimoniale degli ispettori a conferma di quanto da loro accertato.

Il Tribunale, nella contumacia della parte convenuta, respingeva il ricorso con sentenza 28 maggio 2003, osservando, in particolare, che non vi era prova sufficiente che fosse stato violato, dalla Linea Verde 2 Srl, il divieto di interposizione stabilito dalla L. n. 1369 del 1960.

Con atto di citazione in appello l’INPS si doleva della predetta pronunzia, sostenendo che le emergenze ispettive fossero sufficienti a integrare la prova richiesta.

Costituitosi in giudizio, il Fallimento contrastava l’avversa impugnazione, sostenendo la correttezza della tesi, enunciata dal primo Giudice, del difetto di prova.

Con sentenza del 31 marzo-6 giugno 2006, l’adita Corte di Appello di Firenze, in accoglimento del gravame, disponeva l’ammissione allo stato passivo del fallimento convenuto dell’ulteriore credito dell’INPS, ammontante ad Euro corrispondenti a complessive L. 32.316.293, in privilegio, e ad Euro corrispondenti a complessive L. 9.248.293 in chirografo.

A sostegno della decisione osservava che esisteva in atti la prova dell’avvenuta violazione, da parte della Società poi fallita, del divieto di interposizione di manodopera, costituita non solo dai verbali di ispezione dello stesso INPS, ma anche e soprattutto dal comportamento processsuale che il Fallimento aveva tenuto nel giudizio di appello, caratterizzato dall’assenza di ogni contestazione dei fatti posti dall’Istituto a fondamento delle proprie richieste.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre S.C., quale curatore del Fallimento Linea Verde 2 srl con due motivi.

Resiste l’INPS con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo, parte ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c. in relazione all’art. 359 c.p.c. ed ancora omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamenta che la Corte di Appello di Firenze, discostandosi da quanto ritenuto dal Giudice di 1° grado, abbia erroneamente tratto il convincimento della dimostrazione dei fatti costitutivi della domanda proposta dall’INPS (accertamento della ricorrenza della fattispecie della intermediazione vietata di manodopera prevista dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1), sulla base non solo dei verbali di ispezione prodotti dallo stesso INPS in primo grado, ma anche e soprattutto del comportamento processuale che il Fallimento aveva tenuto in secondo grado (art. 116 cpv. c.p.c.); ciò in quanto il Fallimento, rimasto contumace nel giudizio di primo grado, non avendo preso posizione in sede di appello sull’esistenza dei fatti indicati dall’INPS, avrebbe posto in essere una condotta “priva di giustificazioni ... negando ogni proprio contributo alla ricostruzione dei fatti”.

Il motivo è infondato.

Non v’è dubbio che il vigente ordinamento non imponga alle parti in giudizio alcuno specifico comportamento, lasciando gli interessati liberi di modulare la propria condotta in rapporto alla natura e alle emergenze degli interessi fatti valere, limitandosi a prevedere specifiche conseguenze al mancato rispetto di termini o di regole processuali e abilitando i giudici a trarre elementi di valutazione, ai fini della decisione della causa, dal contegno manifestato dalle parti nel processo.

Per quanto in questa sede interessa, l’art. 116 c.p.c., comma 2 consente al giudice di trarre argomenti di prova, tra l’altro, “(...) in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo”.

La norma correttamente si inquadra nel principio in forza del quale il giudice assume le decisioni di competenza in base al suo libero convincimento e anche nella valutazione delle prove opera secondo il suo prudente apprezzamento, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 1.

Nel caso in esame, la Corte territoriale non fonda la propria decisione sul solo apprezzamento del comportamento processuale adottato dalla curatela fallimentare, ma anche sulla valutazione della produzione documentale offerta dall’Istituto (verbali di accertamento ispettivo) che rappresenta l’elemento centrale di indagine su cui va ad incidere la successiva riflessione relativa alla mancata contestazione dell’appellata.

Il convincimento della Corte è maturato, cioè, in primo luogo, sulla ritenuta idoneità dei verbali ispettivi prodotti in primo grado dall’INPS a fondare la prova della pretesa fatta valere, con valutazione difforme rispetto a quella del primo giudice, ma pienamente legittima, in considerazione del potere-dovere del giudice di appello di riformare in parte o in toto la decisione oggetto di gravame ritenuta errata.

Una volta attribuita alla produzione documentale dell’Istituto sufficiente capacità a dare fondamento alla pretesa fatta valere in giudizio, la Corte si è soffermata a considerare anche il complessivo comportamento processuale osservato dal Fallimento, da cui ha tratto, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2 ulteriori motivi di conforto ai fini della definitiva decisione da assumere nella causa sottoposta alla sua cognizione.

L’indagine che la Corte ha condotto sul comportamento processuale osservato dal Fallimento nel giudizio di appello ha portato ad un significativo risultato anche in considerazione della posizione di sostanziale terzietà della curatela rispetto alla pretesa fatta valere dall’INPS. Ciò è quanto emerge in maniera implicita ma non per questo poco chiara, allorché la Corte territoriale ha censurato, sotto un duplice e connesso profilo il comportamento del Fallimento.

Questo, infatti, per un verso aveva invocato, in suo favore, la ricorrenza a carico dell’INPS, dell’onere della prova, sostenendo l’irrilevanza della mancata contestazione in primo grado, delle tesi dell’Istituto, derivando tale mancata contestazione, dalla propria contumacia; per altro verso, nonostante si fosse costituito in grado di appello, aveva omesso di prendere posizione sull’esistenza dei fatti indicati dall’INPS, quale base presuntiva della violazione de qua.

La ricorrente assume che l’onere di contestazione previsto dall’art. 167 c.p.c. sia configurabile solo in relazione al giudizio di primo grado e che non sia richiamato dall’art. 359 c.p.c..

Tale prospettazione non può essere condivisa, in quanto introduce un’inammissibile ed ingiustificata disparità di trattamento nella posizione della parte convenuta in giudizio in rapporto alla fase del processo con la conseguenza che un medesimo comportamento verrebbe valutato con risultati del tutto antitetici solo perché posto in essere in momenti diversi del processo stesso.

Deve invece ritenersi che una determinata circostanza può essere desunta, anche in sede di gravame, dal comportamento processuale delle parti, alla stregua del principio di non contestazione che informa il sistema processuale civile ed è applicabile anche nella fase introduttiva del giudizio di appello, nella quale, ferma la non modificabilità della domanda, la leale collaborazione tra le parti, manifestata con la previa presa di posizione sui fatti dedotti, è funzionale all’operatività del principio di economia processuale e rileva anche ai fini delle valutazioni discrezionali che il giudice del lavoro è chiamato ad adottare in ordine all’ammissione, anche d’ufficio, di nuove prove (Cass. 2 novembre 2009 n. 23142). Più precisamente - premesso che nella giurisprudenza di questa Corte si è da tempo affermato il principio che non è necessaria l’ulteriore prova dei fatti allegati da una parte a sostegno di una domanda, di una eccezione o di una difesa, che non siano stati adeguatamente e tempestivamente contestati dalla controparte, secondo le regole della scansione delle attività difensive dettate per i vari modelli processuali disciplinati dal codice di rito (cfr. Cass. S.U. n. 761/2002; Cass. 11107/2007,12231/2007, 27596/2008) - deve precisarsi che il principio di non contestazione è applicabile anche in sede di appello, sia perché ne è stata rilevata dalla giurisprudenza una valenza generale nel processo (cfr. Cass. n. 12636/2005), sia, più specificamente, perché ragioni analoghe a quelle alla base dell’onere di contestazione operante nella fase introduttiva del giudizio di primo grado sono rilevanti anche nella fase introduttiva del giudizio di appello. In quest’ultimo, ferma la non modificabilità della domanda, continuano ad operare i principi sulla valorizzazione della leale cooperazione delle parti, e il giudice può essere chiamato a valutazioni anche discrezionali circa l’ammissione di nuove prove (tanto più nel rito del lavoro, in cui le prove sono ammissibili anche d’ufficio), sicché la previa trasparente presa di posizione delle parti sui fatti dedotti è - come appena accennato - funzionale all’operatività del principio di economia processuale e può rilevare anche ai fini delle valutazioni che il giudice deve adottare.

Infondato è anche il secondo motivo di gravame con cui la ricorrente, denunciando violazione falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e art. 115 c.p.c. oltre ad omessa ed insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 lamenta che la sentenza non spiegherebbe le ragioni per le quali dai verbali ispettivi dell’INPS si trarrebbe la prova dei fatti costitutivi della pretesa azionata.

Invero, per consolidata giurisprudenza di legittimità i verbali redatti dal funzionario dell’istituto previdenziale o dall’ispettorato del lavoro fanno prova fino a querela di falso dei fatti che il funzionario attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, mentre per le circostanze che l’ispettore dichiari di aver appreso “de relato” o in conseguenza di acquisizione di documenti il relativo materiale è liberamente valutato dal giudice che può anche considerarlo prova sufficiente dei fatti riportati nel verbale ove in esito all’esame dei riscontri probatori emersi nell’istruttoria pervenga al convincimento dell’effettiva sussistenza degli addebiti mossi dall’istituto previdenziale (cfr. Cass. 6 settembre 1995 n. 9384; Cass. 14 agosto 1999 n. 8659).

Giova poi rammentare che il Giudice di legittimità non può essere chiamato a riesaminare il merito della causa, ma solo a verificare l’esame e la valutazione compiuti dal giudice di merito (cfr. Cass. 7 giugno 2005 n. 11789; Cass. 28 luglio 2005 n. 15805). Il disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non conferisce, infatti, alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti. Conseguentemente, alla cassazione della sentenza per vizi di motivazione si può giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice, quale risulta dalla sentenza, che si riveli incompleto, incoerente e illogico, non già quando il giudice abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (ex plurimis, Cass. 28 luglio 2005 n. 15805).

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

L’alterno esito dei giudizi di merito, comprovanti l’obiettiva difficoltà dell’apprezzamento dei fatti, giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Servitù di passaggio, requisiti per la sospensione o per l'acquiscienza

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE II CIVILE Sentenza 17 maggio 2010, n. 12035

"anche in cospetto di una situazione, che sotto i profili naturale e topogratico, sia rimasta immutata, nel caso in cui l'utilitas sia stata prevista in funzione di una specifica modalità di utilizzazione del fondo dominante, in cospetto di una stasi di quest'ultima per un'apprezzabile durata di tempo (ancorchè non protratta per un ventennio, nè irreversibile), si verifica una situazione di fatto comportante il venir meno dell'utilità e pertanto, quel particolare stato, la "quiescenza", del diritto di servitù in costanza del quale, come questa Corte ha avuto modo di precisare, le facoltà di esercizio del diritto reale in questione restano sospese, considerato che, se il titolare potesse continuare ad esercitarlo, pur in assenza della specifica utilitas connotante la servitù, verrebbe così ad esercitare un diritto diverso da quello originario (v. Cass. 1854/06, 10018/97)."


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza 17 maggio 2010, n. 12035

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 5.10.85 il condominio "****" sito in **** citò a giudizio del Tribunale di Messina la società "Capotaormina" s.p.a. proprietaria di una delle unità immobiliari, adibita a ristorante denominato "****", del complesso, per il resto costituito da ventiquattro immobili adibiti ad uso abitativo, al fine di sentir dichiarare l'esistenza di un vincolo di natura reale, derivante dal regolamento contrattuale, comportante la necessaria destinazione a ristorante dei locali di proprietà della convenuta e, in subordinerei" l'ipotesi di insussistenza di tale vincolo, dichiararsi che a carico del condominio ed in favore dell'immobile suddetto non gravavano gli obblighi, segnatamente relativi all'uso per il transito ed il parcheggio della clientela del ristorante di alcune parti del condominio, indicati nel regolamento. La richiesta principale era giustificata dall'intento di opporsi al cambio di destinazione d'uso, da commerciale ad abitativo, in quanto aggravante impianti comuni e comportante un pregiudizievole incremento della densità abitativa del complesso, per cui la società aveva ottenuto una concessione comunale; quella subordinata, dall'assenza di un'attuale utilità nell'esercizio delle suddette facoltà di uso. Si costituì la convenuta resistendo alle domande, che furono entrambe rigettate dal Tribunale con sentenza del 7.2.90, appellata dal condominio, con resistenza della società appellata;tale decisione fu parzialmente riformata, all'esito della disposta consulenza tecnica, dalla locale Corte d'Appello, con sentenza dell'8.10.96, con la quale venne dichiarato estinto il diritto di servitù in favore del ristorante "****" gravante, a norma degli artt. 6 e 9 del regolamento contrattuale, su alcuni beni del complesso. Ma a seguito del ricorso della società Capotaormina, resistito dal condominio, questa Corte, con sentenza n. 14601 del 28.12.99, in accoglimento del terzo ed assorbente motivo, cassava con rinvio alla Corte d'Appello di Catania la suddetta decisione, per malgoverno dell'art. 1074 c.c. e difetto di motivazione, nella parte in cui aveva ritenuto di poter dichiarare, indipendentemente dal decorso del ventennio e senza neppure accertare se si trattasse di un'ipotesi di quiescenza della servitù, estinto il relativo diritto sulla base di una supposta non irreversibile cessazione dell'utilitas.

Riassunto il giudizio dal condominio, che proponeva in via principale domanda di estinzione per non uso ed in subordine di dichiarare "la stessa servitù quiescente e quindi non esercitabile", costituitasi e resistendo la "Progestim" s.p.a. quale società incorporante l'originaria convenuta, con sentenza 30.12.03-31.1.04 la Corte d'Appello di Catania, ritenuta inammissibile la richiesta principale, in quanto domanda nuova proposta per la prima volta in sede di rinvio, accoglieva, nei termini di seguito precisati quella subordinata, e condannava la Progestim al pagamento dei due terzi delle spese di tutti i gradi del processo, compensandole per il resto. La corte etnea, premesso che nei precedenti gradi di merito non vi era stato alcun accenno da parte attrice al mancato uso della servitù, ma solo all'attuale mancanza di utilità ed all'aggravamento, dichiarava "ancora esistenti in favore del ristorante ****, anche se in stato di quiescenza, le servitù gravanti sui beni condominiali indicati negli artt. 6 e 9 del Regolamento del Complesso condominiale, le quali potranno essere esercitate con esclusivo riferimento all'attività originariamente prevista nel citato Regolamento e fino alla maturazione della prescrizione ventennale". I giudici di rinvio giustificavano quest'ultima statuizione con il rilievo che i locali della società Progestim, nonostante il progettato cambio di destinazione, erano di fatto rimasti nell'originaria consistenza, sicchè non poteva escludersi una futura riapertura del ristorante, mentre in assenza del decorso del ventennio non era configurabile l'estinzione della servitù e l'ipotesi della rinuncia volontaria da parte della società era rimasta sfornita di prova.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione basato su sei motivi e successiva memoria illustrativa, la signora M. R., nella qualità di acquirente, per atto pubblico del 23.12.02. dell'immobile adibito a ristorante "****" ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria, il condominio ****; questa Corte ha disposto, con ordinanza ex art. 331 c.p.c., del 30.9.09 l'integrazione del contraddittorio nei confronti della società Progestim.

L'atto d'integrazione del contraddittorio è stato, quindi, dalla ricorrente notificato, entro il termine assegnato alla "Progestim p.a. oggi Immobiliare Lombarda s.p.a. "nella sua sede di Milano, che non si è costituita. La difesa della ricorrente ha, infine, depositato una seconda memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Nonostante l'invalidità, sotto un duplice profilo, dell'integrazione del contraddittorio, che è stata eseguita mediante notifica non nel domicilio elettivo del giudizio a quo, presso uno dei due legali che aveva rappresentato e difeso la società Progestim in grado di appello (sulla necessità che siffatte notificazioni siano eseguite presso tale domicilio, allorquando l'impugnazione sia stata proposta entro il termine annuale, così riattivando il rapporto processuale con conseguente ininfluenza del successivo decorsogli atto dell'integrazione ex art. 331 c.p.c., dell'anno dalla pubblicazione della sentenza agli effetti della notifica personale prevista dall'art. 330 u.c. c.p.c., v. tra le altre Cass. 110076/02, 5023/01, 966/83, 5004/79) e, per di più, senza in alcun modo documentare l'assunta identità tra la suddetta società, con sede in Torino, già parte in causa nel giudizio di rinvio, e quella diversamente denominata, corrente in Milano, presso la quale è stata eseguita la notifica, ritiene la Corte di dover tuttavia considerare ammissibile il ricorso, ancorchè i contraddittorio non sia stato esteso, nel presente giudizio, alla società Progestim.

Al caso di specie, infatti, ben si attaglia il principio, ormai costante nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui è valido il giudizio d'impugnazione svoltosi senza integrare il contraddittorio nei confronti dell'alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, allorquando il primo, non impugnando la sentenza, abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e l'altra parte (come nella specie il condominio resistente) non abbia formulato eccezioni al riguardo ed accettato il contraddittorio nei confronti della nuova parte, poichè tutti tali elementi integrano i presupposti per l'estromissione dal giudizio suddetto del precedente contraddittore, ex art. 111 c.p.c., comma 3, u.p., pur senza un formale provvedimento, con conseguente cessazione della qualità di litisconsorte necessario di tale parte originaria (tra le altre, v Cass. 6530/00, 19072/03, 10577/07, 8395/09).

Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa o insufficiente motivazione su punto decisivo, per non aver la corte di rinvio in alcun modo motivato l'affermazione secondo cui le servitù esistenti a favore del complesso immobiliare "****" avrebbero potuto essere nuovamente esercitate solo nell'ipotesi di ripresa dell'attività di ristorazione. La questione della natura "industriale" delle servitù, per essere l'utilitas "integrata dalla maggiore amenità e accessibilità del ristorante con conseguente incremento della clientela anche via mare", come affermato dalla corte messinese nella sentenza d'appello, sarebbe rimasta impregiudicata, tenuto conto della natura assorbente, rispetto agli altri, del motivo di ricorso accolto da questa Corte.

La censura non merita accoglimento, poichè la suddetta natura, derivante dalla stretta correlazione tra l'attività imprenditoriale di ristorazione esercitata nell'immobile dominante e l'utilità della servitù, concepita secondo il titolo proprio in funzione del particolare vantaggio che il parcheggio della clientela e l'accesso al mare avrebbero assicurato a detta concreta attività, ha costituito il presupposto sulla base del quale la sentenza rescindente ha demandato al giudice di rinvio, sulla scorta della norma dettata dall'art. 1074 c.c. (secondo cui il solo venir meno dell'utilità non è sufficiente a determinare l'estinzione della servitù, se non sia anche decorso il termine ventennale di non esercizio), di accertare se il diritto reale de gito fosse effettivamente estinto per non uso ventennale, o semplicemente quiescente, con possibilità di reviviscenza, previa valutazione della concreta "situazione di fatto". Ed al riguardo questa Corte, osservando (a pag. 5, pen. cpv)) che "in realtà non appare impraticabile l'ipotesi di riapertura del ristorante .. nè in fatto nè in diritto ...", ha chiaramente posto, quale punto fermo della vertenza, il dato secondo cui a tale attività era correlata l'utilitas della servitù in questione, sol rimettendo al giudice di rinvio il compito di accertare la concreta situazione di fatto, in relazione a quella "avvenuta trasformazione del fondo dominante, tale da rendere la funzione economico-sociale del bene incompatibile con quella anteatta" (v. pag. 5. primo cpv.), accertando se nella specie la cessazione dell'attività si fosse protratta per venti anni, fosse ancora attuale o fosse a sua volta venuta meno in relazione a quella non esclusa possibilità di ripresa. Non era pertanto necessario, da parte del giudice di rinvio, che in ipotesi di cassazione della sentenza precedente ex art. 360 c.p.c., n. 3, è vincolato anche ai presupposti di fatto e di diritto sulla base dei quali è stata pronunziata la decisione rescindente (tra le altre v. Cass. 11939/06, 22553/04, 14075/02, 11650/02, 9553702), un nuovo accertamento e, dunque, una specifica motivazione sulla particolare utilitas caratterizzante la servitù, costituendo quella, nella specie correlata alla particolare destinazione del fondo dominante, un necessario antecedente logico - giuridico del principio affermato nella pronunzia di legittimità e calato nel caso, alla stregua del quale la corte catanese avrebbe solo potuto stabilire se la servitù si fosse estinta o si trovasse soltanto in stato di quiescenza.

Con il secondo motivo si deduce omessa e insufficiente motivazione su punto decisivo per non avere la corte catanese spiegato perchè, pur in assenza di un mutamento dello stato dei luoghi, dovuto a fatto naturale o ad uno dei proprietari dei fondi, dominante o servente, tale da determinare "l'impossibilità di fatto di usare della servitù "ai sensi dell'art. 1074 c.c., la semplice decisione dei responsabili della società convenuta di sospendere l'attività di ristorazione avrebbe reso di fatto impossibile l'esercizio delle servitù o fatto venire meno la relativa utilità. Con il terzo motivo, al precedente strettamente connessoci deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1074 c.c. e dell'art. 384 c.p.c., lamentando che la corte etnea, applicando erroneamente il principio di diritto contenuto nella pronunzia di legittimità, limitante, in osservanza al dettato della citata norma sostanziale, indagine al "mutamento della situazione dei luoghi" avrebbe indebitamente ravvisato la quiescenza della servitù nella temporanea cessazione dell'attività del ristorante, di per sè non integrante una oggettiva modifica dello stato di fatto, tale da comportare il venir meno dell'utilitas.

Neppure tali motivi, che per l'evidenziata correlazione vanno esaminati congiuntamente, meritano accoglimento.

Va anzitutto precisato che la pronunzia di legittimità non ha limitato l'indagine del giudice di merito alla sola valutazione della situazione dei luoghi, con stretto e materiale riferimento a quella topografica, bensì, coerentemente al dettato normativo, alla "situazione di fatto", vale a dire alla presenza o meno di tutte quelle condizioni in considerazione delle quali, secondo il titolo, la servitù era stata costituita ed avrebbe potuto essere esercitata.

La tesi sostenuta, secondo cui solo i mutamenti dello stato dei luoghi, dovuti a fatti naturali o umani, avrebbero spiegato rilevanza ai fini dell'art. 1074 c.c., risulta ingiustificatamente limitativa, non tenendo conto che, come pur si è precisato nella sentenza rescindente, l'eventuale sopravvenuta trasformazione del fondo dominante avrebbe dovuto essere presa in considerazione in relazione alla "funzione economico - sociale del bene", onde stabilire se la stessa, così come prevista nel titolo, fosse durata per il tempo necessario a far estinguere .la servitù o soltanto e di fatto temporaneamente verificatasi, si da dar luogo alla situazione di quiescenza.

In altri termini, anche in cospetto di una situazione, che sotto i profili naturale e topogratico, sia rimasta immutata, nel caso in cui l'utilitas sia stata prevista in funzione di una specifica modalità di utilizzazione del fondo dominante, in cospetto di una stasi di quest'ultima per un'apprezzabile durata di tempo (ancorchè non protratta per un ventennio, nè irreversibile), si verifica una situazione di fatto comportante il venir meno dell'utilità e pertanto, quel particolare stato, la "quiescenza", del diritto di servitù in costanza del quale, come questa Corte ha avuto modo di precisare, le facoltà di esercizio del diritto reale in questione restano sospese, considerato che, se il titolare potesse continuare ad esercitarlo, pur in assenza della specifica utilitas connotante la servitù, verrebbe così ad esercitare un diritto diverso da quello originario (v. Cass. 1854/06, 10018/97).

Con il quarto motivo si lamenta che, in violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., la corte di rinvio abbia accolto una domanda, quella di declaratoria di quiescenza della servitù, che la parte attrice non avrebbe mai proposto in precedenza, introducendola soltanto "in maniera ambigua e capziosa" nell'atto di riassunzione. Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., per vizio di ultra petizione, essendo stata addirittura accolta una richiesta mai proposta dalla controparte, quella di dichiarare le servitù previste dal regolamento esercitabili solo con esclusivo riferimento all'attività di ristorante.

I motivi, strettamente connessi, sono privi di fondamento.

La parte attrice aveva infatti chiesto, fin dal primo grado, la dichiarazione di estinzione (erroneamente accolta dalla corte messinese per il solo fatto del cambio di destinazione del fondo dominante, comportante il venir meno dell'utilità) delle servitù conseguentemente, la declaratoria di non esercitabilità delle stesse. Rispetto a tale domanda quella di dichiarare lo stato di "quiescenza" (per l'ipotesi, di accertata temporanea cessazione dell'utilitas), peraltro imposta ex art. 384 c.p.c., dalla pronunzia di legittimità, quale sola alternativa alla pronunzia di estinzione (per il diverso caso di accertata protrazione per un ventennio del non uso), rappresentava con tutta evidenza un minus, logicamente e giuridicamente compreso, relativamente sia al petitum, sia alla causa petendi (vale a dire alla prospettazione dei fatti giuridicamente rilevanti dedotti a sostegno della domanda) nella suddetta più ampia e radicale pretesa; analogamente, la dichiarazione di temporanea non esercitabilità era da considerarsi, per il medesimo principio logico- giuridico, compresa nella più ampia richiesta di definitiva inibizione all'esercizio del diritto reale in contestazione.

Infondato è, infine, anche l'ultimo motivo, con il quale si censura, per violazione e falsa, applicazione dell'art. 91 c.p.c., la condanna della Progestim al rimborso dei due terzi delle spese di tutte i gradi del giudizio, per il resto compensate, senza tener conto del rigetto di tutte le altre richieste della parte attrice.

I giudici di rinvio, con incensurabile valutazione discrezionale di merito e senza incorrere in malgoverno del principio della soccombenza dettato dal sopra citato articolo (che, per costante indirizzo della giurisprudenza di questa Corte è violato solo nei casi in cui la parte totalmente vittoriosa sia condannatala pur in parte, al pagamento delle spese: v. tra le tante, Cass. 4201/02, 12295/01, 8532/00) hanno ritenuto di contenere nella misura di un terzo la compensazione, ex art. 92 c.p.c., comma cit., delle spese, in ragione del non integrale accoglimento delle richieste di parte attrice, al riguardo tenendo conto dell'esito complessivo e Finale della controversia e del principio di causalità, posto a base dell'art. 91 c.p.c., considerato che all'origine della lite vi era stata prestata di esercizio delle servitù in questione, anche in temporanea assenza dell'utilità connotante le stesse.

Il ricorso va, conclusivamente, respinto, con condanna della ricorrente alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

lunedì 21 giugno 2010

Demanio, trasferimento agli enti locali, federalismo

Federalismo demaniale:
Decreto legislativo 28.05.2010 n° 85 , G.U. 11.06.2010

E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale 11 giugno 2010, n. 134 il Decreto Legislativo 20 maggio 2010, n. 85 recante "Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un loro patrimonio, ai sensi dell'art. 19 della Legge 5 maggio 2009, n. 42".

trasferimento:
beni del demanio marittimo, idrico, gli aeroporti di interesse regionale o locale, le miniere e gli altri beni immobili dello Stato e i beni mobili ad essi collegati.

esclusi:
- i fiumi e i laghi di ambito sovraregionale, salvo per questi ultimi che vi sia intesa tra le Regioni interessate;
- i beni della Difesa e i beni culturali, nei termini già previsti dalla normativa vigente;
- dotazione della Presidenza della Repubblica e i beni degli organi costituzionali e di rilevanza costituzionale;
- immobili per uso istituzionale dello Stato, i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale ed internazionale, le reti di interesse statale, le strade ferrate dello Stato, i parchi nazionali e le riserve naturali statali.

attribuzione:
avverrà in base alle richieste degli enti, che dovranno indicarne le modalità e i tempi di utilizzo.

beni non richiesti:
confluiranno in un patrimonio vincolato e verranno valorizzati e alienati (in base ad accordi tra Stato, Regioni ed Enti Locali) entro 36 mesi.

le maggiori risorse:
per il 75% dovranno essere destinate alla riduzione del debito dell’ente, e, per la residua parte, del debito statale.

alienazione:
da parte delle Regioni o degli Enti locali dovrà esser preceduta dall’attestazione della congruità del prezzo da parte dell'Agenzia del demanio o dell'Agenzia del territorio

restano demaniali:
i beni trasferiti del demanio marittimo, idrico e aeroportuale.

sdemanializzazione:
resta di competenza e va dichiarata dallo Stato



DECRETO LEGISLATIVO 28 maggio 2010, n. 85

Attribuzione a comuni, province, citta' metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in attuazione dell'articolo 19 della legge 5 maggio 2009, n. 42. (10G0108)

(GU n. 134 del 11-6-2010)

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76, 87, quinto comma, 117 e 119 della Costituzione;

Vista la legge 5 maggio 2009, n. 42, recante delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, e in particolare l'articolo 19, relativo al patrimonio di comuni, province, citta' metropolitane e regioni;

Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 17 dicembre 2009;

Considerato il mancato raggiungimento dell'intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;

Visto il parere favorevole della Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali espresso ai sensi dell'articolo 9, comma 6, lettera c), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, nella seduta del 4 marzo 2010, sul testo concordato nel corso della medesima seduta;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 12 marzo 2010, di approvazione della relazione prevista dall'articolo 2, comma 3, terzo e quarto periodo, della legge 5 maggio 2009, n. 42;

Visti il parere della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale di cui all'articolo 3 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e i pareri delle Commissioni parlamentari competenti per le conseguenze di carattere finanziario della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 20 maggio 2010;

Sulla proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro per le riforme per il federalismo, del Ministro per la semplificazione normativa, del Ministro per i rapporti con le regioni e del Ministro per le politiche europee, di concerto con il Ministro dell'interno e con il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione;

Emana

il seguente decreto legislativo:

Art. 1

Oggetto

1. Nel rispetto della Costituzione, con le disposizioni del presente decreto legislativo e con uno o piu' decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei Ministri sono individuati i beni statali che possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni. 2. Gli enti territoriali cui sono attribuiti i beni sono tenuti a garantirne la massima valorizzazione funzionale.

Art. 2

Parametri per l'attibuzione del patrimonio

1. Lo Stato, previa intesa conclusa in sede di Conferenza Unificata, individua i beni da attribuire a titolo non oneroso a: Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni, secondo criteri di territorialita', sussidiarieta', adeguatezza, semplificazione, capacita' finanziaria, correlazione con competenze e funzioni, nonche' valorizzazione ambientale, in base a quanto previsto dall'articolo 3.

2. Gli enti locali in stato di dissesto finanziario ai sensi dell'articolo 244 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, fino a quando perdura lo stato di dissesto, non possono alienare i beni ad essi attribuiti, che possono essere utilizzati solo per finalita' di carattere istituzionale.

3. In applicazione del principio di sussidiarieta', nei casi previsti dall'articolo 3, qualora un bene non sia attribuito a un ente territoriale di un determinato livello di governo, lo Stato procede, sulla base delle domande avanzate, all'attribuzione del medesimo bene a un ente territoriale di un diverso livello di governo.

4. L'ente territoriale, a seguito del trasferimento, dispone del bene nell'interesse della collettivita' rappresentata ed e' tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della medesima collettivita' territoriale rappresentata. Ciascun ente assicura l'informazione della collettivita' circa il processo di valorizzazione, anche tramite divulgazione sul proprio sito internet istituzionale. Ciascun ente puo' indire forme di consultazione popolare, anche in forma telematica, in base alle norme dei rispettivi Statuti.

5. I beni statali sono attribuiti, a titolo non oneroso, a Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni, anche in quote indivise, sulla base dei seguenti criteri: a) sussidiarieta', adeguatezza e territorialita'. In applicazione di tali criteri, i beni sono attribuiti, considerando il loro radicamento sul territorio, ai Comuni, salvo che per l'entita' o tipologia del singolo bene o del gruppo di beni, esigenze di carattere unitario richiedano l'attribuzione a Province, Citta' metropolitane o Regioni quali livelli di governo maggiormente idonei a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione tenendo conto del rapporto che deve esistere tra beni trasferiti e funzioni di ciascun livello istituzionale; b) semplificazione. In applicazione di tale criterio, i beni possono essere inseriti dalle Regioni e dagli enti locali in processi di alienazione e dismissione secondo le procedure di cui all'articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. A tal fine, per assicurare la massima valorizzazione dei beni trasferiti, la deliberazione da parte dell'ente territoriale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni e' trasmessa ad un'apposita Conferenza di servizi, che opera ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, a cui partecipano il Comune, la Provincia, la Citta' metropolitana e la Regione interessati, volta ad acquisire le autorizzazioni, gli assensi e le approvazioni comunque denominati necessari alla variazione di destinazione urbanistica. Sono fatte salve le procedure e le determinazioni adottate da organismi istituiti da leggi regionali, con le modalita' ivi stabilite. La determinazione finale della Conferenza di servizi costituisce provvedimento unico di autorizzazione delle varianti allo strumento urbanistico generale e ne fissa i limiti e i vincoli; c) capacita' finanziaria, intesa come idoneita' finanziaria necessaria a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione dei beni; d) correlazione con competenze e funzioni, intesa come connessione tra le competenze e le funzioni effettivamente svolte o esercitate dall'ente cui e' attribuito il bene e le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene stesso; e) valorizzazione ambientale. In applicazione di tale criterio la valorizzazione del bene e' realizzata avendo riguardo alle caratteristiche fisiche, morfologiche, ambientali, paesaggistiche, culturali e sociali dei beni trasferiti, al fine di assicurare lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei valori ambientali.

Art. 3

Attribuzione e trasferimento dei beni

1. Ferme restando le funzioni amministrative gia' conferite agli enti territoriali in base alla normativa vigente, con uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, con il Ministro per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia, adottati entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo: a) sono trasferiti alle Regioni, unitamente alle relative pertinenze, i beni del demanio marittimo di cui all'articolo 5, comma 1, lettera a) ed i beni del demanio idrico di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), salvo quanto previsto dalla lettera b) del presente comma; b) sono trasferiti alle Province, unitamente alle relative pertinenze, i beni del demanio idrico di cui all'articolo 5, comma 1, lettera b), limitatamente ai laghi chiusi privi di emissari di superficie che insistono sul territorio di una sola Provincia, e le miniere di cui all'articolo 5, comma 1, lettera d), che non comprendono i giacimenti petroliferi e di gas e le relative pertinenze nonche' i siti di stoccaggio di gas naturale e le relative pertinenze.

2. Una quota dei proventi dei canoni ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico trasferito ai sensi della lettera a) del comma 1, tenendo conto dell'entita' delle risorse idriche che insistono sul territorio della Provincia e delle funzioni amministrative esercitate dalla medesima, e' destinata da ciascuna Regione alle Province, sulla base di una intesa conclusa fra la Regione e le singole Province sul cui territorio insistono i medesimi beni del demanio idrico. Decorso un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto senza che sia stata conclusa la predetta intesa, il Governo determina, tenendo conto dei medesimi criteri, la quota da destinare alle singole Province, attraverso l'esercizio del potere sostitutivo di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131.

3. Salvo quanto previsto dai commi 1 e 2, i beni sono individuati ai fini dell'attribuzione ad uno o piu' enti appartenenti ad uno o piu' livelli di governo territoriale mediante l'inserimento in appositi elenchi contenuti in uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri adottati entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, con il Ministro per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia, sulla base delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 del presente decreto legislativo. I beni possono essere individuati singolarmente o per gruppi. Gli elenchi sono corredati da adeguati elementi informativi, anche relativi allo stato giuridico, alla consistenza, al valore del bene, alle entrate corrispondenti e ai relativi costi di gestione e acquistano efficacia dalla data della pubblicazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri nella Gazzetta Ufficiale.

4. Sulla base dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui al comma 3, le Regioni e gli enti locali che intendono acquisire i beni contenuti negli elenchi di cui al comma 3 presentano, entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei citati decreti, un'apposita domanda di attribuzione all'Agenzia del demanio. Le specifiche finalita' e modalita' di utilizzazione del bene, la relativa tempistica ed economicita' nonche' la destinazione del bene medesimo sono contenute in una relazione allegata alla domanda, sottoscritta dal rappresentante legale dell'ente. Per i beni che negli elenchi di cui al comma 3 sono individuati in gruppi, la domanda di attribuzione deve riferirsi a tutti i beni compresi in ciascun gruppo e la relazione deve indicare le finalita' e le modalita' prevalenti di utilizzazione. Sulla base delle richieste di assegnazione pervenute e' adottato, entro i successivi sessanta giorni, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentite le Regioni e gli enti locali interessati, un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, riguardante l'attribuzione dei beni, che produce effetti dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che costituisce titolo per la trascrizione e per la voltura catastale dei beni a favore di ciascuna Regione o ciascun ente locale.

5.Qualora l'ente territoriale non utilizzi il bene nel rispetto delle finalita' e dei tempi indicati nella relazione di cui al comma 4, il Governo esercita il potere sostitutivo di cui all'articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131, ai fini di assicurare la migliore utilizzazione del bene, anche attraverso il conferimento al patrimonio vincolato di cui al comma 6.

6. I beni per i quali non e' stata presentata la domanda di cui al comma 4 del presente articolo ovvero al comma 3 dell'articolo 2, confluiscono, in base ad un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato con la procedura di cui al comma 3, in un patrimonio vincolato affidato all'Agenzia del demanio o all'amministrazione che ne cura la gestione, che provvede alla valorizzazione e alienazione degli stessi beni, d'intesa con le Regioni e gli Enti locali interessati, sulla base di appositi accordi di programma o protocolli di intesa. Decorsi trentasei mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di inserimento nel patrimonio vincolato, i beni per i quali non si e' proceduto alla stipula degli accordi di programma ovvero dei protocolli d'intesa rientrano nella piena disponibilita' dello Stato e possono essere comunque attribuiti con i decreti di cui all'articolo 7.

Art. 4

Status dei beni

1. I beni, trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, salvo quanto previsto dall'articolo 111 del codice di procedura civile, entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Province, delle Citta' metropolitane e delle Regioni, ad eccezione di quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, che restano assoggettati al regime stabilito dal codice civile, nonche' alla disciplina di tutela e salvaguardia dettata dal medesimo codice, dal codice della navigazione, dalle leggi regionali e statali e dalle norme comunitarie di settore, con particolare riguardo a quelle di tutela della concorrenza. Ove ne ricorrano i presupposti, il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri di attribuzione di beni demaniali diversi da quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, puo' disporre motivatamente il mantenimento dei beni stessi nel demanio o l'inclusione nel patrimonio indisponibile. Per i beni trasferiti che restano assoggettati al regime dei beni demaniali ai sensi del presente articolo, l'eventuale passaggio al patrimonio e' dichiarato dall'amministrazione dello Stato ai sensi dell'articolo 829, primo comma, del codice civile. Sui predetti beni non possono essere costituiti diritti di superficie.

2. Il trasferimento dei beni ha effetto dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all'articolo 3, commi 1 e 4, quarto periodo. Il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano, con contestuale immissione di ciascuna Regione ed ente locale nel possesso giuridico e subentro in tutti i rapporti attivi e passivi relativi ai beni trasferiti, fermi restando i limiti derivanti dai vincoli storici, artistici e ambientali.

3. I beni trasferiti in attuazione del presente decreto che entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Province, delle Citta' metropolitane e delle Regioni possono essere alienati solo previa valorizzazione attraverso le procedure per l'adozione delle varianti allo strumento urbanistico, e a seguito di attestazione di congruita' rilasciata, entro il termine di trenta giorni dalla relativa richiesta, da parte dell'Agenzia del demanio o dell'Agenzia del territorio, secondo le rispettive competenze.

Art. 5

Tipologie dei beni

1. I beni immobili statali e i beni mobili statali in essi eventualmente presenti che ne costituiscono arredo o che sono posti al loro servizio che, a titolo non oneroso, sono trasferiti ai sensi dell'articolo 3 a Comuni, Province, Citta' metropolitane e Regioni sono i seguenti: a) i beni appartenenti al demanio marittimo e relative pertinenze, come definiti dall'articolo 822 del codice civile e dall'articolo 28 del codice della navigazione, con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali; b) i beni appartenenti al demanio idrico e relative pertinenze, nonche' le opere idrauliche e di bonifica di competenza statale, come definiti dagli articoli 822, 942, 945, 946 e 947 del codice civile e dalle leggi speciali di settore, ad esclusione: 1) dei fiumi di ambito sovraregionale; 2) dei laghi di ambito sovraregionale per i quali non intervenga un'intesa tra le Regioni interessate, ferma restando comunque la eventuale disciplina di livello internazionale; c) gli aeroporti di interesse regionale o locale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative pertinenze, diversi da quelli di interesse nazionale cosi' come definiti dall'articolo 698 del codice della navigazione; d) le miniere e le relative pertinenze ubicate su terraferma; e) gli altri beni immobili dello Stato, ad eccezione di quelli esclusi dal trasferimento.

2. Fatto salvo quanto previsto al comma 4, sono in ogni caso esclusi dal trasferimento: gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalita' istituzionali alle amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo, agli enti pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso governativo e alle Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore; i beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla normativa vigente e dal comma 7 del presente articolo; i beni oggetto di accordi o intese con gli enti territoriali per la razionalizzazione o la valorizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari sottoscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle stradali ed energetiche; le strade ferrate in uso di proprieta' dello Stato; sono altresi' esclusi dal trasferimento di cui al presente decreto i parchi nazionali e le riserve naturali statali. I beni immobili in uso per finalita' istituzionali sono inseriti negli elenchi dei beni esclusi dal trasferimento in base a criteri di economicita' e di concreta cura degli interessi pubblici perseguiti.

3. Le amministrazioni statali e gli altri enti di cui al comma 2 trasmettono, in modo adeguatamente motivato, ai sensi del medesimo comma 2, alla Agenzia del demanio entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo gli elenchi dei beni immobili di cui richiedono l'esclusione. L'Agenzia del demanio puo' chiedere chiarimenti in ordine alle motivazioni trasmesse, anche nella prospettiva della riduzione degli oneri per locazioni passive a carico del bilancio dello Stato. Entro il predetto termine anche l'Agenzia del demanio compila l'elenco di cui al primo periodo. Entro i successivi quarantacinque giorni, previo parere della Conferenza Unificata, da esprimersi entro il termine di trenta giorni, con provvedimento del direttore dell'Agenzia l'elenco complessivo dei beni esclusi dal trasferimento e' redatto ed e' reso pubblico, a fini notiziali, con l'indicazione delle motivazioni pervenute, sul sito internet dell'Agenzia. Con il medesimo procedimento, il predetto elenco puo' essere integrato o modificato.

4. Entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per le riforme per il federalismo, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati e attribuiti i beni immobili comunque in uso al Ministero della difesa che possono essere trasferiti ai sensi del comma 1, in quanto non ricompresi tra quelli utilizzati per le funzioni di difesa e sicurezza nazionale, non oggetto delle procedure di cui all'articolo 14-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, di cui all'articolo 2, comma 628, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 e di cui alla legge 23 dicembre 2009, n. 191, nonche' non funzionali alla realizzazione dei programmi di riorganizzazione dello strumento militare finalizzati all'efficace ed efficiente esercizio delle citate funzioni, attraverso gli specifici strumenti riconosciuti al Ministero della difesa dalla normativa vigente.

5. In sede di prima applicazione del presente decreto legislativo, nell'ambito di specifici accordi di valorizzazione e dei conseguenti programmi e piani strategici di sviluppo culturale, definiti ai sensi e con i contenuti di cui all'articolo 112, comma 4, del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni, lo Stato provvede, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, al trasferimento alle Regioni e agli altri enti territoriali, ai sensi dell'articolo 54, comma 3, del citato codice, dei beni e delle cose indicati nei suddetti accordi di valorizzazione.

6. Nelle citta' sedi di porti di rilevanza nazionale possono essere trasferite dall'Agenzia del demanio al Comune aree gia' comprese nei porti e non piu' funzionali all'attivita' portuale e suscettibili di programmi pubblici di riqualificazione urbanistica, previa autorizzazione dell'Autorita' portuale, se istituita, o della competente Autorita' marittima.

7. Sono in ogni caso esclusi dai beni di cui al comma 1 i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica, nonche' i beni in uso a qualsiasi titolo al Senato della Repubblica, alla Camera dei Deputati, alla Corte Costituzionale, nonche' agli organi di rilevanza costituzionale.

Art. 6

Valorizzazione dei beni attraverso fondi comuni di investimento immobiliare

1. Al fine di favorire la massima valorizzazione dei beni e promuovere la capacita' finanziaria degli enti territoriali, anche in attuazione del criterio di cui all'articolo 2, comma 5, lettera c), i beni trasferiti agli enti territoriali possono, previa loro valorizzazione, attraverso le procedure per l'approvazione delle varianti allo strumento urbanistico di cui all'articolo 2, comma 5, lettera b), essere conferiti ad uno o piu' fondi comuni di investimento immobiliare istituiti ai sensi dell'articolo 37 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni, ovvero dell'articolo 14-bis della legge 25 gennaio 1994, n. 86. Ciascun bene e' conferito, dopo la relativa valorizzazione attraverso le procedure per l'approvazione delle varianti allo strumento urbanistico, per un valore la cui congruita' e' attestata, entro il termine di trenta giorni dalla relativa richiesta, da parte dell'Agenzia del demanio o dell'Agenzia del territorio, secondo le rispettive competenze.

2. La Cassa depositi e prestiti, secondo le modalita' di cui all'articolo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, puo' partecipare ai fondi di cui al comma 1.

3. Agli apporti di beni immobili ai fondi effettuati ai sensi del presente decreto si applicano, in ogni caso, le agevolazioni di cui ai commi 10 e 11 dell'articolo 14-bis della legge 25 gennaio 1994, n. 86.

Art. 7

Decreti biennali di attribuzione

1. A decorrere dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, con uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottati ogni due anni su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, con il Ministro per i rapporti con le Regioni e con gli altri Ministri competenti per materia, su richiesta di Regioni ed enti locali sulla base delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2, 4 e 5 del presente decreto legislativo, possono essere attribuiti ulteriori beni eventualmente resisi disponibili per ulteriori trasferimenti.

2. Gli enti territoriali interessati possono individuare e richiedere ulteriori beni non inseriti in precedenti decreti ne' in precedenti provvedimenti del direttore dell'Agenzia del demanio. Tali beni sono trasferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri adottato ai sensi del comma 1. A tali richieste e' allegata una relazione attestante i benefici derivanti alle pubbliche amministrazioni da una diversa utilizzazione funzionale dei beni o da una loro migliore valorizzazione in sede locale.

Art. 8

Utilizzo ottimale di beni pubblici da parte degli enti territoriali

1. Gli enti territoriali, al fine di assicurare la migliore utilizzazione dei beni pubblici per lo svolgimento delle funzioni pubbliche primarie attribuite, possono procedere a consultazioni tra di loro e con le amministrazioni periferiche dello Stato, anche all'uopo convocando apposite Conferenze di servizi coordinate dal Presidente della Giunta regionale o da un suo delegato. Le risultanze delle consultazioni sono trasmesse al Ministero dell'economia e delle finanze ai fini della migliore elaborazione delle successive proposte di sua competenza e possono essere richiamate a sostegno delle richieste avanzate da ciascun ente.

Art. 9

Disposizioni finali

1. Tutti gli atti, contratti, formalita' e altri adempimenti necessari per l'attuazione del presente decreto sono esenti da ogni diritto e tributo.

2. Con uno o piu' decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti il Ministro dell'interno, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per le riforme per il federalismo e il Ministro per i rapporti con le Regioni, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono determinate le modalita', per ridurre, a decorrere dal primo esercizio finanziario successivo alla data del trasferimento, le risorse a qualsiasi titolo spettanti alle Regioni e agli enti locali contestualmente e in misura pari alla riduzione delle entrate erariali conseguente alla adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui agli articoli 3 e 7.

3. Alle procedure di spesa relative ai beni trasferiti ai sensi delle disposizioni del presente decreto non si applicano i vincoli relativi al rispetto del patto di stabilita' interno, per un importo corrispondente alle spese gia' sostenute dallo Stato per la gestione e la manutenzione dei beni trasferiti. Tale importo e' determinato secondo i criteri e con le modalita' individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio per la riduzione degli stanziamenti dei capitoli di spesa interessati.

4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, in relazione ai trasferimenti dei beni immobili di cui al presente decreto legislativo, e' assicurata la coerenza tra il riordino e la riallocazione delle funzioni e la dotazione delle risorse umane e finanziarie, con il vincolo che al trasferimento delle funzioni corrisponda un trasferimento del personale tale da evitare ogni duplicazione di funzioni.

5. Le risorse nette derivanti a ciascuna Regione ed ente locale dalla eventuale alienazione degli immobili del patrimonio disponibile loro attribuito ai sensi del presente decreto nonche' quelle derivanti dalla eventuale cessione di quote di fondi immobiliari cui i medesimi beni siano stati conferiti sono acquisite dall'ente territoriale per un ammontare pari al settantacinque per cento delle stesse. Le predette risorse sono destinate alla riduzione del debito dell'ente e, solo in assenza del debito o comunque per la parte eventualmente eccedente, a spese di investimento. La residua quota del venticinque per cento e' destinata al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell'interno, il Ministro per i rapporti con le Regioni ed il Ministro per le riforme per il federalismo, sono definite le modalita' di applicazione del presente comma. Ciascuna Regione o ente locale puo' procedere all'alienazione di immobili attribuiti ai sensi del presente decreto legislativo previa attestazione della congruita' del valore del bene da parte dell'Agenzia del demanio o dell'Agenzia del territorio, secondo le rispettive competenze. L'attestazione e' resa entro il termine di trenta giorni dalla relativa richiesta.

6. Nell'attuazione del presente decreto legislativo e' comunque assicurato il rispetto di quanto previsto dall'articolo 28 della legge 5 maggio 2009, n. 42. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addi' 28 maggio 2010.

NAPOLITANO

Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze
Bossi, Ministro per le riforme per il federalismo
Calderoli, Ministro per la semplificazione normativa
Fitto, Ministro per i rapporti con le regioni
Ronchi, Ministro per le politiche europee
Maroni, Ministro dell'interno
Brunetta, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione

Visto, il Guardasigilli: Alfano

venerdì 18 giugno 2010

Risarcimento, contro l’esecuzione delle opere pubbliche la giurisdizione spetta al giudice ordinario.

Sezioni Unite: la giurisdizione su controversie per danni derivanti da esecuzione di opere pubbliche è dell’A.G.O.


Sentenza Cassazione Sezioni Unite 25.05.2010, n. 12792

Il condominio di Napoli, via xx, ha convenuto in giudizio , davanti al tribunale di Napoli, il Comune, la società P. e la società S.
Con la citazione notificata il 25.10.1999 ha proposto in loro confronto una domanda di risarcimento del danno.
Ha esposto i seguenti fatti.
Il Comune, nel 1990, aveva affidato alla P. la costruzione e gestione di un parcheggio, che doveva essere realizzato in piazza San Francesco.
La P. aveva a sua volta affidato le opere di completamento della paratia perimetrale del parcheggio alla S. che le aveva completate nel 1997.
I lavori di palificazione eseguiti dalla S avevano determinato l’apertura di lesioni nelle strutture verticali del fabbricato, in quelle orizzontali nonché nei tramezzi, intonaci, controsoffitti, rivestimenti, pavimenti e infissi delle diverse unità del fabbricato, con conseguenze dannose anche sugli impianti.
I convenuti si sono costituiti, la S ha chiamato in causa la società Generali Assicurazioni; sono intervenuti numerosi condomini aderendo alla domanda.
2. - Il tribunale con sentenza 1.6.2002 n. 7271 ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione.
3. - Pendente il processo davanti al tribunale ordinario, il Condominio, con ricorso notificato il 20.7.2000, ha adito il Tribunale amministrativo regionale per la Campania.
Ha impugnato gli atti di approvazione del progetto e quelli di affidamento della concessione di costruzione e gestione dell’opera alla P., deducendo l’incompletezza e comunque l’erroneità del progetto; in seguito, prima con motivi aggiunti, poi con autonomo ricorso ha proposto domanda di risarcimento del danno.
Con sentenza 11.2.2008 n. 676, il T.A.R. della Campania ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto contro gli atti di approvazione del progetto e di concessione dei lavori, che ha ritenuto proposto tardivamente; ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di risarcimento del danno.
Ha considerato che la ragione del danno veniva individuata in un comportamento del tutto svincolato dai precedenti provvedimenti amministrativi.
4. - Il Condominio ha proposto ricorso per conflitto negativo di giurisdizione.
Ha chiesto che sia dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
Si è costituito il Comune di Napoli, che ha chiesto di dichiarare il ricorso inammissibile.
Ha sostenuto che non vi è conflitto tra le due decisioni, perché i due tribunali hanno deciso su domande diverse.
Motivi della decisione
1. - Il ricorso è ammissibile.
Al giudice ordinario ed a quello amministrativo è stata proposta una medesima domanda, di risarcimento del danno, danno la cui ragione, dall’attore, è stata individuata nelle operazioni messe in atto, in una delle fasi di costruzione del parcheggio, dalla società S, cui i lavori erano stati appaltati dalla concessionaria.
A rispondere di questi danni sono stati chiamati anche il Comune di Napoli e la società concessionaria, la P.
2. - La giurisdizione su tale domanda spetta al giudice ordinario non solo in confronto della parte privata, che è venuta eseguendo i lavori, ma anche degli altri soggetti convenuti in giudizio , dei quali la responsabilità sarà o meno dichiarata secondo ciò che risulterà accertato all’esito del giudizio, a proposito della incidenza della loro condotta sulla fase esecutiva dell’opera.
Mentre la localizzazione dell’opera pubblica è attività di natura provvedimentale, non lo sono la sua concreta realizzazione e manutenzione, attività queste di natura materiale nello svolgere le quali non i soli soggetti privati cui sia affidata l’esecuzione dell’opera, ma la stessa pubblica amministrazione che se ne faccia esecutrice debbono osservare le regole tecniche ed i canoni di diligenza e prudenza (Sez. Un. 13 dicembre 2007 n. 26108; 28 dicembre 2007 n. 27187).
3. - È dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di risarcimento del danno.
È cassata la sentenza 1.6.2002 del tribunale di Napoli, cui la causa è rimessa.
4. - Le spese del presente giudizio sono compensate, così anche quelle della fase del processo che si è conclusa davanti al tribunale di Napoli.
P.Q.M.
La Corte dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; cassa la sentenza del tribunale di Napoli, cui rimette la causa; compensa le spese del giudizio .

martedì 1 giugno 2010

Guida in stato di ebrezza, confisca del veicolo

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE IV PENALE
Sentenza 21 ottobre - 13 novembre 2009, n. 43501

questo Collegio ritiene che la formula "sentenza di condanna" debba essere intesa in senso più ampio, come statuizione di condanna, comprensiva dunque anche del decreto penale.
Sul punto, è opportuno ricordare che questa Corte si è già occupata di questione analoga, propostasi in riferimento alla confisca obbligatoria dei terreni e dei veicoli utilizzati per la consumazione di alcuni reati in materia di rifiuti, ma ha emesso pronunce di segno diverso, nel senso che in alcuni casi ha riconosciuto la legittimità della confisca anche nel procedimento per decreto, facendo leva sull'obbligatorietà della misura (v. Sez. 3^, 4/12/2007, n. 4545, P.M. in proc. Pennino, rv. 238852), mentre in altri casi (v. sez. 3^, 22/5/2008, n. 26548, Mazzuccato, rv. 240343) l'ha esclusa, valorizzando i limiti formali del testo, quei stessi limiti, cioè, che in questa sede invoca l'odierno ricorrente, tuttavia in relazione ad un'ipotesi di reato diversa, la quale è sostenuta, come si è ricordato, da una ratio legis correlata a pressanti esigenze di prevenzione, del tutto specifiche alla materia speciale della circolazione stradale dei veicoli.


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 21 ottobre - 13 novembre 2009, n. 43501
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
OSSERVA
G.I. ricorre per cassazione avverso il decreto penale di condanna emesso il 20/10/2008 dal G.I.P. del Tribunale di Padova in ordine al reato di guida in stato di ebbrezza alcolica accertato a suo carico in data 27/6/2008.
Il ricorrente deduce erronea applicazione della legge, per la ragione che il giudice a quo ha disposto la confisca del veicolo in sequestro, non tenendo conto che tale misura ablativa non poteva, giusta quanto disposto dall'art. 460 c.p.p., comma 2, essere comminata con decreto di condanna e che, ai sensi dell'art. 186 C.d.S., comma 2, quinto periodo, la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato deve essere sempre disposta, ma solo con sentenza di condanna o di patteggiamento, e, comunque, a condizione che ricorra alcuna delle ipotesi previste dall'art. 240 C.d.S., comma 2, tra, le quali, certamente, non poteva farsi rientrare il bene sequestrato, trattandosi di veicolo che ex se non costituisce prezzo del reato, ovvero la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione del quale costituisca reato. Il ricorso non merita accoglimento.
Come recentemente chiarito da questa Corte (vedasi sentenza 11/2/2009 n. 13831), la disposizione di cui all'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), quinto periodo, - nel testo modificato dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, conv. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125, applicabile al fatto commesso in data **** - là dove contempla che sia sempre disposta, con la sentenza di condanna o con quella di applicazione della pena a richiesta delle parti, la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato "ai sensi dell'art. 240 c.p., comma 2", richiama quest'ultima disposizione non con l'intenzione di affermare che il caso disciplinato rientri tra quelli che detta disposizione contempla, ma semplicemente al fine di rimarcare l'obbligatorietà della confisca, sempre che il veicolo non appartenga a persona estranea al reato e che sia stata pronunciata sentenza di condanna o di patteggiamento.
In assenza di una norma siffatta, infatti, il veicolo con il quale è commessa la contravvenzione in esame andrebbe ricondotto, seguendo le linee tracciate dall'art. 240 c.p., nel novero delle cose, indicate nel comma 1 di detto articolo, soggette a confisca facoltativa (segnatamente le "cose che servirono a commettere il reato").
La confisca è, invece, divenuta obbligatoria proprio perchè così nel 2008 ha voluto, in deroga all'art. 240 c.p., il legislatore del codice della strada; ma, come si è detto, è rispondente alla ratio legis interpretare il richiamo, contenuto nell'art. 186 C.d.S., all'art. 240 c.p., comma 2, non come riferimento alla natura ed alle caratteristiche delle cose ivi elencate, bensì nel senso della previsione della obbligatorietà della confisca per il veicolo condotto da soggetto in stato di ebbrezza ai sensi dell'art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c): in altri termini, il veicolo non è ex se una res tale da non poter restare in circolazione prescindendo dal soggetto che ne aveva la disponibilità e dall'esito del giudizio, ma una res da considerarsi pericolosa solo in relazione a quel soggetto trovato in (grave) stato di ebbrezza (o che si è rifiutato di sottoporsi all'accertamento in tal modo impedendo di fatto il controllo delle sue condizioni di idoneità alla guida), ed ovviamente all'esito dell'accertamento giudiziale della attribuibilità di quel fatto-reato al soggetto cui è stata sottratta la disponibilità della res con il sequestro.
Siffatta interpretazione, tra l'altro, si pone assolutamente in sintonia con i principi che le Sezioni Unite di questa Corte enunciarono allorquando furono chiamate ad esaminare un'analoga questione con riferimento alla confisca prevista dall'art. 722 c.p. ("è sempre ordinata la confisca") per il denaro esposto nel gioco d'azzardo e per gli arnesi od oggetti ad esso destinati. In quella occasione, le Sezioni Unite (sentenza n. 5 del 25/03/1993 Cc. - dep. 23/04/1993 - Rv. 193120, imp. Carlea ed altri), sottolineando che l'art. 722 c.p., prevede un caso di confisca obbligatoria in seguito a condanna, hanno affermato che, conseguentemente, "l'avverbio sempre non sta a significare che la misura deve essere disposta anche nel caso di proscioglimento e, in particolare, nel caso di estinzione del reato", ed hanno altresì precisato che nei casi dell'art. 240 c.p., comma 1, e comma 2, n. 1, come in quello dell'art. 722 c.p., essendo richiesta la condanna, non può essere disposta la confisca se il reato è estinto, mentre a una diversa conclusione deve pervenirsi nel caso dell'art. 240 c.p., comma 2, n. 2, che impone la confisca anche nel caso di proscioglimento".
Tornando alla questione concernente la confisca prevista dall'attuale formulazione dell'art. 186 C.d.S., va, in riferimento all'altra doglianza espressa dal ricorrente, osservato che la disposizione menziona esclusivamente la sentenza di condanna e quella di patteggiamento, non il decreto penale di condanna, sicchè appare lecito chiedersi se la misura ablativa sia applicabile qualora la condanna sia irrogata con il suddetto decreto.
A fronte dell'opzione, patrocinata in ricorso, che milita per un'interpretazione restrittiva valorizzando i limiti formali del testo normativo menzionato, questo Collegio ritiene che la formula "sentenza di condanna" debba essere intesa in senso più ampio, come statuizione di condanna, comprensiva dunque anche del decreto penale.
Sul punto, è opportuno ricordare che questa Corte si è già occupata di questione analoga, propostasi in riferimento alla confisca obbligatoria dei terreni e dei veicoli utilizzati per la consumazione di alcuni reati in materia di rifiuti, ma ha emesso pronunce di segno diverso, nel senso che in alcuni casi ha riconosciuto la legittimità della confisca anche nel procedimento per decreto, facendo leva sull'obbligatorietà della misura (v. Sez. 3^, 4/12/2007, n. 4545, P.M. in proc. Pennino, rv. 238852), mentre in altri casi (v. sez. 3^, 22/5/2008, n. 26548, Mazzuccato, rv. 240343) l'ha esclusa, valorizzando i limiti formali del testo, quei stessi limiti, cioè, che in questa sede invoca l'odierno ricorrente, tuttavia in relazione ad un'ipotesi di reato diversa, la quale è sostenuta, come si è ricordato, da una ratio legis correlata a pressanti esigenze di prevenzione, del tutto specifiche alla materia speciale della circolazione stradale dei veicoli.
Al rigetta del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 21 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2009.

Address

Studio Legale avv. Santo De Prezzo Erchie (Brindisi - Italy) via Principe di Napoli, 113
DPR SNT 58E29 L280J - P.I. 00746050749 - phone +39 0831 767493 - mob. +39 347 7619748