Note, I,aug.,2008
Separazione della carriera dei Pubblici Ministeri dai giudici con dislocazione territoriale e coordinamento centrale per il dibattimento.
Il primo dato di riferimento è che nel disegno della costituzione del 1948 la figura del Pubblico Ministero doveva gestire le funzioni con la cultura della giurisdizione e cioè compiere le attività di indagine ricercando la verità, attraverso sia gli elementi di prova a carico e sia quelli a favore dell’indagato.
Il secondo dato concreto è che oggi, salvo eccezioni, la mentalità dei P.M. esprime essenzialmente la cultura dell’accusa, per cui tende a tralasciare gli elementi di prova a favore dell’indagato in quanto competenza del difensore con la conseguenza che non è infrequente il caso che richieda il rinvio a giudizio anche quando sussistono elementi a discarico di rilevanza tale che potrebbero evitare il processo.
Tale condizione culturale della pubblica accusa è causa di un discredito diffuso ed assai sentito per l’incidenza negativa sui canoni costituzionali della tutela dell’indagato. Condizione culturale di sovra esposizione della pubblica accusa in parte sostenuta dai mass media, per cui è avvertito forte ed imprevedibile il rischio che la semplice apertura dell’indagine, essendo un meccanismo automatico per effetto della obbligatorietà penale, possa esporre l’indagato al linciaggio, appunto, dei mass media.
Il fatto è che tale anomalia è divenuta insopportabile.
A monte, il problema è tutto teorico e cioè se la verità del processo si debba ottenere con un pubblico ministero posto al rango del giudice ovvero dallo scontro dialettico di accusa e difesa di pari grado, innanzi al giudice terzo
Qui, la soluzione è strettamente legata all’impostazione ideologica che prevale nel ordinamento, dacchè l’idea che lo Stato debba sovra intendere anche alle sorti dell’indagato è figlia di un massimalismo giustizialista che va decisamente contrastato e sradicato, dovendosi seguire la via della respressione giudiziaria nel rispetto della tutela effettiva del cittadino.
Se dunque, al di là delle resistenze corporativistiche insite all’interno di alcune frange dei pubblici ministeri per puro interesse di casta, si vuole davvero riequilibrare il rapporto cittadino – stato, nel senso di rendere possibile una azione repressiva efficace pur mantenendo forti le garanzie del cittadino, si deve passare ad un sistema nel quale la carriera del P.M. deve essere nettamente diversa e distinta dalla carriera del giudice giacchè la figura del P.M. deve essere concepita al pari di quella del difensore, in maniera tale che entrambe possano compiere al meglio le azioni di accusa e di difesa, innanzi ad un giudice che deve giudicare sul tema decidendum senza alcun sospetto di poter essere influenzato dalla colleganza.
E qui vi è un problema di modifica costituzionale per evitare ciò che è accaduto al progetto originario del codice Pisapia, il cui originale stampo accusatorio è sostanzialmente mutato di natura per effetto dei ripetuti interventi della corte costituzionale.
L’altro lato della medaglia poggia sulla opportunità che il P.M. quale titolare dell’azione penale e delle indagini di polizia giudiziaria possa svolgere le sue prerogative con efficacia ed incidenza, coordinando le forze di polizia sul territorio e relazionandosi col cittadino latore di istanze di giustizia ed assumendosi le responsabilità del territorio in maniera tale da poter essere sostituito nel caso di inefficacia.
L’argomento dovrebbe essere ovvio, pur tuttavia si assiste ad una organizzazione dell’ufficio del P.M. non confacente a tali esigenze primarie, perché risulta accentrato presso il luogo dell’ufficio giudiziario, senza instaurare alcun legame con i cittadini e con il territorio e senza avere un giusto rapporto con le forze di polizia in campo ma limitandosi a relazionarsi solo con alcuni operatori di p.g. operanti in sezioni istituite ad hoc ed in alcuni casi, addirittura, col divieto di incontrare gli avvocati nel corso della indagine.
Di conseguenza, il cittadino non avverte effettiva la presenza del Procuratore nel territorio e non è raro che le stesse forze di polizia si trovino in difficoltà a coordinarsi tra loro ed a operare all’unisono col titolare dell’azione penale, specialmente per le caserme dell’ultimo paese della provincia e che gli avvocati non riescono evitare le lungaggini di quelle indagini che magari poggiano su un equivoco.
Cosa accadeva prima della riforma del vigente codice di procedura penale Pisapia? Il Pretore, istituto ormai soppresso qualche anno addietro dopo una vigenza di circa 2000 anni, gestiva un mandamento (più o meno due tre paesi) e rappresentava efficacemente lo stato-giustizia presso i cittadini, che richiedevano regolarmente udienza informale, puntualmente concessa, in cui reclamavano le loro istanze di giustizia minore, molte volte esaudite in tempi brevissimi mediante opera pratica dei buoni uffici. Nello stesso tempo, le caserme e le stazioni di polizia del mandamento ricevevano immediate direttive dal Pretore e con questi sviluppavano un rapporto di proficua collaborazione proprio per i poteri d’indagine e di accusa di cui era dotato. Non era raro, che il Pretore partecipasse personalmente alle tradizionali manifestazioni sociali, dando ai cittadini la presenza dello stato nella quotidianità e contribuendo ad instaurare un serio legame tra le istituzioni e la gente del paese, apprezzava il valore della legalità.
Per i non addetti ai lavori, occorre ricordare che i legislatori s’impattarano nel tentativo di superare il vecchio codice di procedura penale rocco, messo a punto nel ventennio, con il modello del codice Pisapia, privilegiando l’esigenza costituzionale di sopprimere i poteri accusatori del Pretore che sino ad allora aveva svolto anche compiti diretti di gestione della polizia giudiziaria sino a concludere l’indagine penale sia nel caso di archiviazione sia nel caso di formulazione della imputazione e conseguente giudizio davanti a sé: il problema sacrosanto di rendere il Pretore un giudice terzo rispetto all’accusa che non poteva essere opera dello stesso Pretore, si affrontò separando i poteri di indagine che vennero attribuiti alla Procura Circondariale.
L’anomalia del Pretore giano bifronte venne risolta, ma si lasciò del tutto scoperto il territorio mandamentale dalla presenza dello stato-giustizia, nel senso che le nuove Procure vennero istituite su base circondariale ed al Pretore restarono i soli poteri del giudicante, senza possibilità di mantenere i contatti diretti col cittadino che doveva rivolgere tutte le sue istanze di giustizia alle forze di polizia.
Qui, ritengo sia stato commesso un grave errore di prospettiva sul piano della presenza dello stato-giustizia sul territorio. Detta anomalia deve essere superata e può essere ripristinata se sul territorio viene distribuita la presenza dell’ufficio del Procuratore che potrà conferire direttamente con i cittadini per dare fiducia e dare le immediate direttive alla polizia giudiziaria sul campo, diventando un responsabile visibile della giustizia del territorio, ovviamente operativamente legato ad un ufficio centrale per la gestione del dibattimento.
D’altronde, eccetto l’attività dibattimentale, non è comprensibile per quali ragioni il Procuratore debba mantenere l’ufficio nel luogo del giudice: non è più opportuno allontanarsi dalla sede del giudice e stabilire l’ufficio nel territorio del quale si assuma le responsabilità in ordine alla tutela del cittadino?
In ogni caso, sono convinto che questa è la via da perseguire.
Dott. Santo De Prezzo
1 commento:
Perche non:)
Posta un commento