Consiglio di Stato, sez. VI, 17.7.2008 n. 3602
"La colpa, infatti, è una conseguenza altamente probabile della riscontrata illegittimità dell'atto. Di regola, quindi, in base ad un apprezzamento di frequenza statistica, il danneggiato ben può limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto amministrativo annullato, in quanto essa indica la violazione dei parametri che, nella generalità delle ipotesi, specificano la colpa dell'amministrazione. In tali eventualità, allora, spetta all'amministrazione l'onere di fornire seri elementi idonei a superare la presunzione. La mancanza di colpa potrebbe essere affermata, concretamente, in diverse ipotesi, quali, per esempio, l'errore scusabile dell'amministrazione, derivante da fattori particolari correlati, esemplificativamente, alla formulazione incerta delle norme applicate, alle oscillazioni interpretative della giurisprudenza, alla rilevante complessità del fatto, oppure ai comportamenti di altri soggetti.
Nel caso in esame non solo questo onere non è stato assolto (avendo la difesa erariale sostenuto la tesi – ascritta a Cass. S.U. n. 500/99 – secondo cui l’onere della prova incombe interamente sul danneggiato), ma, al contrario, emergono positivi elementi di riscontro della presunzione, evincibili dalle ragioni dell’annullamento del decreto ministeriale causativo dei danni, che hanno natura sostanziale e testimoniano un mancato approfondimento sui presupposti di fatto dell’azione amministrativa, che ha automaticamente confermato la riduzione delle quote di produzione stabilita nell’anno passato".
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 3602/08 Reg.Dec. N. 6879 Reg.Ric. ANNO 2007 |
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 6879/2007, proposto dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in via dei Portoghesi n. 12, Roma;
c o n t r o
– C.., in persona dei loro rappresentanti legali, rappresentate e difese dal prof. avv. Salvatore Alberto Romano e dall'avv. Francesco Sette, ed elettivamente domiciliate presso lo studio del primo in Roma, viale XXI Aprile n. 11;
appellante incidentale
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, sede di Roma Sez. II ter, n. 4258 del 10 maggio 2007.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati
Visto l’atto di costituzione in giudizio di C..;
Visto l’appello incidentale di C.;
Visti gli atti tutti della causa
Relatore all’udienza del 22 aprile 2008 il Consigliere Francesco Bellomo e uditi per le parti l’avv. dello Stato Palatiello e l’avv. Romano;
Ritenuto quanto segue:
F A T T O
1. Con ricorso proposto dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio C. e
S. domandavano il risarcimento dei danni subiti per effetto dell'applicazione del decreto 27.2.1987 del Ministro delle politiche agricole e forestali di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato.
A fondamento del ricorso deducevano che detto provvedimento, annullato in sede giurisdizionale, aveva loro causato ingenti danni patrimoniali.
Si costituivano in giudizio per resistere al ricorso il Ministero delle politiche agricole e forestali, il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica.
Con sentenza n. 4258 del 10 maggio 2007 il TAR accoglieva per quanto di ragione il ricorso, condannando le Amministrazioni al pagamento di 3.389.369 euro.
2. La sentenza è stata appellata dal Ministero delle politiche agricole e forestali, dal Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, che contrastano le argomentazioni del giudice di primo grado.
Si sono costituiti per resistere all’appello C. e S., che propongono, altresì, appello incidentale.
La causa è passata in decisione alla pubblica udienza del 22 aprile 2008.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. P. e S., fanno parte del Gruppo S. e operano nel settore della produzione di zuccheri, collegate tra loro per elementi tecnici, economici e strutturali e responsabili in solido degli obblighi derivanti dalla regolamentazione dell'Unione Europea.
Esse avevano impugnato innanzi al giudice amministrativo il decreto 27.2.1987 del Ministro dell'agricoltura e delle foreste di concerto con il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato, con il quale erano state definite per la campagna 1987/1988 le quote di produzione del G.S.V. suscettibili di contributi all'esportazione. Detto decreto è stato annullato, con sentenza passata in giudicato (CdS sezione VI n. 652 del 10 maggio 1996).
La controversia si inquadra nella regolamentazione comunitaria che assegna agli Stati membri due gruppi (A e B) di quote di produzione, da distribuire all'interno tra le imprese del settore, suscettibili di contributi per finanziare l'esportazione della produzione eccedente il consumo nella Comunità. La produzione in esubero rispetto ai due gruppi suddetti rientra in quota C, è esportabile liberamente nei Paesi terzi e non gode del finanziamento europeo. Ogni Stato membro della Comunità può ridurre le quote già assegnate, per singole imprese, in caso di progetti imprenditoriali di ristrutturazione, nella misura necessaria alla loro realizzazione (art. 25.2 del reg. CEE 1785/81).
Tale potere riduttivo è stato esercitato nei confronti delle società del G.S.V., in amministrazione controllata dal dicembre del 1983 a seguito della dichiarazione di crisi del settore saccarifero adottata nel giugno di quell'anno dal Comitato interministeriale per la produzione industriale. Con D.M. 4.11.1983 il Ministero dell'agricoltura e delle foreste riduceva per la campagna 1984/1985 la quota di produzione A di competenza del G.S.V. a 2.974.936 quintali, rispetto ai 4.144.899 quintali già assegnati con D.M. 30.11.1981. Ulteriore riduzione a q. 2.561.899 era disposta per la successiva campagna 1985/1986 (D.M. 9.1.1985).
A seguito del piano di risanamento del settore bieticolo saccarifero e del consequenziale piano d'intervento per le società del G.S.V., approvati dal Comitato interministeriale per la programmazione economica rispettivamente con delibera 7.4.1984 e delibera 13.2.1986, è stata effettuata la cessione degli stabilimenti del Nord Italia alla neocostituita ISI Agroindustriale s.p.a. .
Pertanto il Ministero dell'agricoltura e delle foreste ha operato una ridistribuzione delle quote di produzione, assegnando al G.S.V. 652.200 q. di quota A e 97.800 q. di quota B per la campagna 1986/1987 (D.M. 11.8.1986). La stessa riduzione è stata confermata per le campagne 1987/1988, 1988/1989 e 1989/1990, rispettivamente con D.M. 27.2.1987, D.M. 30.6.1988 e D.M. 28.2.1989.
Il D.M. 27.2.1987 è stato ritenuto illegittimo e annullato – oltre che per tardività della pubblicazione o alla comunicazione individuale – per difetto di motivazione in ordine alla conferma per la campagna 1987/1988 delle quote ridotte come definite per la campagna di produzione saccarifera precedente, e conseguente vizio di proporzionalità nella distribuzione delle quote tra le diverse società del settore.
Su tali basi la sentenza appellata ha riconosciuto la risarcibilità:
a) del danno emergente per la mancata contribuzione per i quantitativi non assegnati in quota A e B;
b) del lucro cessante per minor ricavo da ridotta quota di produzione e maggiore eccedenza riportabile in quota C (non assistita da contribuzione europea e, quindi, caratterizzata da aggravio di costi e minori ricavi nella vendita).
Appellano le Amministrazioni condannate al risarcimento del danno deducendo:
1) difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;
2) difetto dell’elemento soggettivo della responsabilità civile dell’amministrazione;
3) carenza di legittimazione passiva del Ministero dell’Economia;
4) mancata prova ed erronea quantificazione del danno.
Hanno proposto appello incidentale le società appellate, domandando il riconoscimento di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme spettanti a titolo risarcitorio.
2. Il Collegio procede all’esame delle censure proposto nell’appello principale secondo l’ordine indicato.
2.1 Il difetto di giurisdizione è argomentato sul presupposto che, una volta riconosciuta l’illegittimità del provvedimento di riduzione delle quote di produzione, la posizione delle imprese appellate ha natura di diritto soggettivo, appartenendo la controversia alla fase di erogazione di contributi per cui esiste un diritto di credito perfetto.
La tesi è priva di pregio.
Il risarcimento del danno è stato disposto dal TAR quale forma equivalente di tutela patrimoniale avverso un illecito della pubblica amministrazione posto in essere nell’esercizio di poteri autoritativi, i cui effetti, cioè, sono riconducibili alla sequenza logica norma - potere - effetto.
In ipotesi siffatte l’originaria posizione del destinatario dell’atto è di interesse legittimo, sicché le controversie in materia spettano alla giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, al quale compete altresì, ai sensi dell’art. 7, comma 3 L. 1034/71 (“Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”), disporre, ove necessario, la condanna al risarcimento dei danni.
La giurisdizione si radica sulla situazione soggettiva vantata dall’interessato nel momento in cui l’amministrazione agisce, restando irrilevante l’eventuale riqualificazione che detta posizione possa ricevere a seguito dell’intervenuto annullamento giurisdizionale, ovvero la circostanza che l’azione di risarcimento danni abbia natura di diritto soggettivo, come da tempo ha chiarito la giurisprudenza amministrativa, anche sulla scia delle pronunce delle Corte Costituzionale (n. 204/04 e 161/06), e alfine condiviso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 13656/06). I due ordini sono oggi concordi nel ritenere che anche l’azione autonoma di risarcimento del danno spetti al giudice amministrativo.
Nel caso in esame le appellate non hanno agito per l’adempimento di un loro diritto all’erogazione del contributo finanziario, ma per l’annullamento dell’atto amministrativo che disciplinava il contributo. Dunque la controversia non attiene affatto all’esecuzione di un’obbligazione pubblica, sebbene ai presupposti della medesima rimessi dalla legge al potere amministrativo, e l’azione risarcitoria rappresenta qui una tutela complementare all’annullamento.
2.2 Le appellanti lamentano il mancato accertamento della colpa dell’amministrazione. Il Collegio osserva che, in effetti, il TAR non ha svolto espresse argomentazioni sul punto, ma ciò porta semplicemente a correggere l’anzidetta motivazione, atteso che l’imputabilità dell’illecito all’amministrazione sussiste alla luce dei principi tracciati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (da ultimo, diffusamente, v. sezione V n. 1307/07), secondo cui che la accertata illegittimità dell'atto ritenuto lesivo dell'interesse del ricorrente rappresenta, nella normalità dei casi, l'indice (grave, preciso e concordante) della colpa dell'amministrazione.
La colpa, infatti, è una conseguenza altamente probabile della riscontrata illegittimità dell'atto. Di regola, quindi, in base ad un apprezzamento di frequenza statistica, il danneggiato ben può limitarsi ad allegare l'illegittimità dell'atto amministrativo annullato, in quanto essa indica la violazione dei parametri che, nella generalità delle ipotesi, specificano la colpa dell'amministrazione. In tali eventualità, allora, spetta all'amministrazione l'onere di fornire seri elementi idonei a superare la presunzione. La mancanza di colpa potrebbe essere affermata, concretamente, in diverse ipotesi, quali, per esempio, l'errore scusabile dell'amministrazione, derivante da fattori particolari correlati, esemplificativamente, alla formulazione incerta delle norme applicate, alle oscillazioni interpretative della giurisprudenza, alla rilevante complessità del fatto, oppure ai comportamenti di altri soggetti.
Nel caso in esame non solo questo onere non è stato assolto (avendo la difesa erariale sostenuto la tesi – ascritta a Cass. S.U. n. 500/99 – secondo cui l’onere della prova incombe interamente sul danneggiato), ma, al contrario, emergono positivi elementi di riscontro della presunzione, evincibili dalle ragioni dell’annullamento del decreto ministeriale causativo dei danni, che hanno natura sostanziale e testimoniano un mancato approfondimento sui presupposti di fatto dell’azione amministrativa, che ha automaticamente confermato la riduzione delle quote di produzione stabilita nell’anno passato.
2.3 Sussiste la lamentata carenza di legittimazione passiva del Ministero delle finanze, che non è parte del rapporto obbligatorio nascente dall’illecito – non essendo né autore del medesimo, né soggetto tenuto al pagamento del risarcimento verso le interessate – e, quindi, andava estromesso dal giudizio.
2.4 L’erroneità della quantificazione dei danni viene argomentata in primo luogo dall’assenza di elementi probatori e, in secondo luogo, dalla circostanza che le appellate, a seguito del provvedimento ministeriale che precludeva le vendite in quota A e B, hanno incrementato le loro vendite in quota C, aumentando le esportazioni verso paesi extracomunitari.
Le doglianze sono fondate nei sensi di seguito precisati.
Il TAR ha proceduto alla liquidazione del danno emergente e del lucro cessante sulla base degli elementi indicati dalle appellanti. In particolare il lucro cessante è stato individuato in un danno per minori ricavi da ridotta quota stimato in £. 4.155.680.746 e un danno per maggior riporto in quota C in £. 1.621.762.887 (considerando che per la campagna successiva con le ridotte assegnazioni di quote A e B le società hanno riportato in quota C 152.407 quintali di zucchero in eccedenza rispetto al riporto calcolabile sull'assegnazione intera, con un minore ricavo di £. 10.641 al quintale).
Tale operazione appare sorretta da una acritica adesione alle prospettazioni dell’interessata – fondate su un ragionamento altamente presuntivo – , senza procedere ad un opportuno vaglio delle condizioni del mercato e delle scelte di politica aziendale che l’illecito ha determinato.
In particolare la circostanza che le imprese abbiano aumentato la loro esportazione nei paesi extracomunitari, pur non essendo direttamente imputabile all’illecito (il che esclude l’applicazione dell’istituto della compensatio lucri cum damno), ha diminuito il danno obiettivamente patito, e di ciò si deve tener conto anche alla luce dell’art. 1227, comma 2 c.c. (che, nell’escludere dal risarcimento i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, impone di non liquidare i danni che il creditore ha comunque evitato con un comportamento accorto, rientrante nella diligenza media professionale).
La minor somma da liquidare in forza delle indicate ragioni si stima equitativamente in euro 800.000, da cui discende la riduzione del risarcimento a 2.589.369 euro.
3. Può passarsi all’esame dell’appello incidentale, che risulta tardivo. Trattasi, infatti, di appello incidentale improprio (tale è quello rivolto avverso capi della sentenza autonomi da quelli impugnati con l’appello principale ovvero volto a far valere un autonomo interesse), cui si applica il termine previsto per l’appello principale (cfr. sez. IV n. 5474/05; sez. VI n. 1736/07 sez. IV n. 2299/08), di sessanta giorni dalla notifica della sentenza o un anno dalla sua pubblicazione.
Nel caso in esame la sentenza è stata notificata dalle parti appellate il 4 giugno 2007, mentre l’appello incidentale è stato notificato il 9 ottobre 2007, cioè ben oltre il termine di 60 giorni, pur tenendo conto del periodo di sospensione feriale.
Va ricordato che la notifica della sentenza effettuata dalla parte parzialmente soccombente (qui sul capo relativo agli accessori monetari, non liquidati dal TAR) è idonea a far decorrere il predetto termine, atteso che la notificazione della sentenza fa decorrere il termine breve per l’impugnazione non solo per la parte che la riceve, ma anche per quella che la effettua, in applicazione dell’art. 326 Cpc (giurisprudenza consolidata, v. da ultimo CdS sez. V 3671/05).
3. In conclusione l’appello principale deve essere in parte accolto e, in riforma della sentenza appellata, il Ministero dell’economia e delle finanze va estromesso dal giudizio, il Ministero delle politiche agricole e forestali e il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, sono condannati al pagamento di 2.589.369 euro a titolo di risarcimento danni. L’appello incidentale è irricevibile. L’esito complessivo del giudizio suggerisce la compensazione per metà delle spese del doppio grado, e per metà a carico delle soccombenti, da liquidarsi come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie in parte l’appello principale e, in riforma della sentenza appellata, condanna solidalmente il Ministero delle politiche agricole e forestali e il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato al pagamento di 2.589.369 euro a titolo di risarcimento danni nei confronti C. P. I. e S... Dichiara irricevibile l’appello incidentale.
Spese del doppio grado di giudizio per metà compensate e per metà a carico delle Amministrazioni, per l’importo di euro 5000.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del 22 aprile 2008, con l'intervento dei sigg.ri:
Giuseppe Barbagallo Presidente
Luciano Barra Caracciolo Consigliere
Aldo Scola Consigliere
Francesco Bellomo Consigliere Est.
Manfredo Atzeni Consigliere
Presidente
GIUSEPPE BARBAGALLO
Consigliere Segretario
FRANCESCO BELLOMO VITTORIO ZOFFOLI
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/07/2008